L’aveva avvolta in un’aureola scura, come se il buio nascesse dentro di lei, dal cuore al cervello e oltre, fino alle radici dei capelli drammaticamente neri. Così il demiurgo Michelangelo Antonioni, originale rispetto a quanti schiariscono le chiome delle amatissime compagne, aveva immaginato bruna Monica Vitti, Valentina sul set de La notte. Ma poi un altro uomo, altro artista di straordinario talento, aveva restituito all’attrice la materia prima del suo fascino, quella luce accecante, biondo solare e lunare insieme, quel biondo che annuncia il giorno e sopravvive al tramonto, e improvvisamente, per pochi minuti, i capelli della Vitti erano tornati del loro colore. Accadeva dunque nei primi giorni di ripresa de La notte che Sergio Strizzi, fotografo di cinema mirabile, testimone anche de L’eclissi e di Deserto Rosso, avesse invitato la Vitti a posare per lui durante una pausa di lavorazione, in scena e fuori scena al tempo stesso, in uno degli uffici liberi della Torre Galfa, a Milano, dove qualche piano più in basso la troupe stava girando la scena iniziale del film. Nella finzione gli spazi progettati da Melchiorre Bega e inaugurati nel 1959, ma ancora vuoti nei mesi di ripresa nel 1960, erano la camera di una lussuosa clinica nella quale stava morendo Tommaso, amico della coppia dei protagonisti, Giovanni Pontano e sua moglie Lidia, Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, anche lei bionda e anche lei “oscurata” per necessità di copione. La Vitti, che entrerà in scena più tardi nella parte notturna del film girato nella villa dell’industriale brianzolo Gherardini, alias il Barlassina Country Club di Lentate sul Seveso, è già sul set, è ancora bionda e accetta l’invito di Strizzi per un servizio solo su di lei. Salgono, ufficio vuoto e al di là delle vetrate svetta l’altro simbolo della modernità milanese, il grattacielo Pirelli di Gio Ponti. Nasce un piccolo capolavoro. Ritrovato.
A riportare a noi Una giornata con Monica Vitti, splendido volume pubblicato da Postcart e presentato in questi giorni a Londra in occasione della mostra Sergio Strizzi: The Perfect Moment all’Estorick Collection fino all’8 settembre, sono le figlie del grande fotografo, «fotografo sul set e non di set» precisano, Melissa e Vanessa Strizzi, segretaria di edizione su tanti film importanti la prima e autrice Rai la seconda. Come avviene nelle migliori favole d’archivio, cercando in un armadio immenso dove il padre conserva i reperti di una carriera cinematografica internazionale, un giorno di vent’anni fa Melissa e Vanessa trovano la solita misteriosa, magica, dimenticata busta, e dentro ci sono non solo ottanta fotografie di una Vitti magnifica e trentenne, 1931, stessa età di Sergio, ma c’è l’essenza de La Notte, c’è la modernità di una donna e di una città che insieme parlavano di vuoto, silenzio e incomunicabilità, e ci sono le prove generali di una fotografia di moda che solo più tardi avrebbe interpretato con la stessa libertà ed essenzialità il corpo e il pensiero femminile. Il servizio durò forse un’ora, pochi cambi d’abito, un tubino a fiori raggianti, uno chemisier a pois che ricorda quello de L’avventura, una tunica verde. Manca l’abito cocktail di Valentino, nero a frange, con cui la Vitti entra davvero in scena. Per altro era la prima volta di “un” Valentino al cinema.
Prima di raggiungere la velocità che coglie l’attimo delle emozioni, l’attimo sensuale quando le labbra di una diva si socchiudono e parlano d’amore senza voce, quell’attimo che Diana Vreeland chiamava “the langour in the lips”, Sergio Strizzi era stato fotografo dell’agenzia Publifoto a Roma, aveva fotografato il cadavere del bandito Giuliano, forse uno dei primi set cinematografici della cronaca italiana, aveva ritratto Sofia Loren a seno nudo tra le quinte di Due notti con Cleopatra, ed era stato adottato da Dino De Laurentiis perché le sue immagini a volte erano più belle del film. E proprio quelle inquadrature originali, fuori dall’asse della cinepresa, la luce perfetta nella ricchezza dei chiaroscuri, impressionano anche Michelangelo Antonioni. L’incontro avviene in Jugoslavia sul set de La Tempesta di Alberto Lattuada, dove Antonioni è regista della seconda unità. Insieme discutono di pittura e fotografia, si comprendono, Strizzi manca L’Avventura perché impegnato, ma per La notte è lì. A lui Antonioni affida la compagna e per Strizzi la Vitti diventa la Marilyn Monroe che sarà pochi anni dopo la Marilyn di Bert Stern nel celebre The Last Setting.
Monica Vitti si toglie le scarpe, si sdraia per terra, si stende su una scrivania-letto in un gioco di seduzione quasi masochista, gioca con la collana, è in piedi e dietro di lei si apre il nulla di una Milano crudele come New York, e ancora alla finestra ma dando le spalle alla metropoli si lascia incorniciare dalle veneziane che diventano, scrive Daniela Brogi nell’introduzione al volume, «il mantello delle Madonne della Misericordia». Allora Strizzi cambia rullo, sceglie il colore, e le labbra della Vitti hanno il sapore di un frutto morbido e rosso. Quel colore, oltre ad accendere il desiderio, ricordava a Strizzi l’infanzia. Suo padre Ippolito, nipote del grande Ippolito Strizzi, fotografo della Reale Casa a Roma, era direttore di una fabbrica di viscosa ed era antifascista. In un normale giorno di regime Ippolito manda a scuola il figlio vestito da ussaro, puro scarlatto. I compagni di classe erano in camicia nera. Il bambino viene rispedito a casa e il padre, denunciato, riesce a fuggire in Africa dove muore trentenne. Alla sua stessa età il figlio, restituendo al rosso il senso della vita e della bellezza, lo aveva vendicato.
Sergio Strizzi
Una giornata
con Monica Vitti
Postcart Edizioni,
pagg. 72, € 30