Il forum Ambrosetti a Cernobbio, che segna il riavvio della politica dopo i fuochi fatui dell’estate, offre un punto di vista interessante sul “cantiere” per l’alternativa al governo della destra. Uno sguardo che si allunga al comizio finale di Elly Schlein alla Festa dell’Unità, con la orgogliosa — e forse ancora un po’ spavalda — affermazione: «È tempo di prepararci a governare». È vero: in due anni passati insieme all’opposizione, Pd, M5S e le forze di centro hanno compiuto diversi passi di riavvicinamento sul piano concreto delle votazioni parlamentari. Punto di svolta, le Europee di giugno che, da una parte hanno sciolto la disputa sulla primazia tra Pd e cinque stelle a favore del Nazareno, e dall’altra hanno archiviato le ambizioni solitarie dei nostalgici di un centro autonomo. Non è un caso che, prendendo per primo atto della mutata situazione politica, da allora Matteo Renzi — criticabile quanto si vuole ma sempre lesto a capire le variazioni del vento — abbia iniziato a bussare di nuovo alle porte del centrosinistra.
Ma la politica, quando non è velleitaria, a un certo punto deve per forza passare a discutere di cose concrete, policies e non solo policy .
«L’inventario delle cose certe», come dice Schlein citando Joyce Lussu. Per questo lo scrutinio di Cernobbio era significativo e potenzialmente a rischio, con una platea di centinaia di persone abituate a discutere sulla base dei numeri e non degli slogan.
Amministratori delegati, imprenditrici e imprenditori che avevano appena sentito ildeus ex machina
di Ambrosetti, Valerio De Molli, ricordar loro che la produttività in Italia è rimasta stagnante negli ultimi venti anni e tra le più basse d’Europa. Un ritorno brusco sulpianeta Terra dopo i record sbandierati il giorno prima da Giorgia Meloni.
Lasciando da parte l’applausometro, stavolta più generoso con Schlein rispetto alla precedente edizione, quello che è apparso chiaro è una discreta convergenza delle proposte dei leader, dalla Sanità al lavoro, dall’aumento dei salari agli incentivi alle imprese. Con l’ambizione di arrivare in Parlamento addirittura a una proposta comune in materia di Bilancio, una mozione che si configurerebbe come una sorta di contro-Finanziaria sottoscritta da tutte le forze di opposizione. In Europa sarebbe una prima assoluta, che darebbe sostanza a quel «prepariamoci» gridato sul palco di Reggio Emilia. Senza contare che la spinta coalizionale si nutre, in questo momento anche dal basso, con candidati comuni e potenzialmente vincenti alle prossime regionali, dalla Liguria all’Umbria, all’Emilia-Romagna.
Tutto bene dunque? Assolutamente no. Perché il centrosinistra, a differenza delle tre destre, ha sempre bisogno di essere d’accordo su tuttoprima ancora di provare a essere d’accordo su qualcosa. Ed è subito ripartita la giostra dei distinguo, con Carlo Calenda in prima fila a dire no a costruire un campo largo insieme a chi è contrario al ritorno al nucleare. Eppure, sembra che stavolta la spinta unitaria sia più forte della forza autodistruttiva che da sempre affligge il campo di Agramante della sinistra.
A ben vedere, resta un unico grande ostacolo a questo disegno. E si chiama Ucraina. Perché una divisione così profonda in politica estera su una materia che investe il ruolo dell’Italia nella Nato, la nostra posizione in Europa e i valori stessi dell’Occidente, non può essere sottaciuta o minimizzata. È il vero elefante nella stanza, che anche ieri ha spezzato l’idillio unitario di Villa d’Este.
Giuseppe Conte, pur avendo governato due volte e contribuito ad aumentare le spese per la difesa, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina si è spostato sempre di più sulle posizioni di un pacifismo unilaterale e anti-atlantico, che arriva ad attribuire a Washington e Londra più che a Mosca la responsabilità di un mancato accordo di pace. Sono le idee portate avanti in Francia da Mélenchon e in Germania da Wagenknecht, che si pongono in radicale antitesi non solo rispetto ai liberali e ai verdi europei, ma anche alle sinistre riformiste che si riconoscono nel Pse.
Dice Renzi che «è la matematica» a spingere verso l’alleanza di centrosinistra, perché «se ci si mette tutti insieme, gli altri perdono». Tutto vero. Ed è giusto continuare nel dialogo unitario sulle regionali e sulla legge di bilancio. Ma finché non sarà sciolto il nodo di Kiev, ogni ipotesi alternativa di governo avrà un deficit incolmabile di credibilità.