«Vedere» l’altro lato Così si può ricomporre la frattura emotiva generata dalla guerra
30 Ottobre 2023Amato, Cassese, Violante. I tre grandi vecchi che “proteggono” Meloni
30 Ottobre 2023Nessun ateneo italiano, tranne la Sapienza, ha condannato chiaramente il massacro del 7 ottobre. Rabbia e indignazione si sono subito rivolte verso Israele e l’occidente. Una sindrome, venata di antisemitismo, che non è solo studentesca e non è solo italiana. Un’indagine
Lasciano ancora che l’unica bandiera libera di sventolare nelle università italiane, dal 7 ottobre a oggi, sia quella palestinese. Hanno consentito di inneggiare all’“Intifada” senza opporre alcun argomento a chi invoca “la vittoria” di Hamas. Hanno accettato che nelle loro facoltà si esultasse per la caccia all’ebreo, tollerando senza fiatare l’equiparazione tra terrorismo e resistenza. Pavide, complici, oppure codarde: lo spettacolo offerto dalle università italiane, con l’unica eccezione della Sapienza di Roma, è un disastro culturale dentro cui è difficile guardare fino in fondo. Fatto anche di storie scivolate via velocemente. Come quella dell’Università Federico II di Napoli, dipartimento di Scienze sociali. Dove viene presentata una mozione di “condanna per l’aggressione di Hamas a Israele”, ma i professori riuniti in assemblea riescono nell’impresa di non firmarla.
Siamo ad appena cinque giorni dal 7 ottobre, ma la mente accademica si è già chiusa nelle razionalizzazioni: va alla ricerca delle cause storiche, delle conseguenze geopolitiche. Il momento presente? La morte di mille e quattrocento innocenti colpiti indiscriminatamente? Subito relativizzati. E’ il professor Luigi Caramiello, un sociologo, che presenta il testo. Quindici righe in cui “ribadisce la ripulsa assoluta di razzismo e antisemitismo” e “riconosce il diritto di Israele a difendersi e proteggere il proprio diritto all’esistenza”. Ha di fronte a sé professori che ogni giorno fanno lezione a giovani che hanno la stessa età delle ragazze e dei ragazzi uccisi mentre ballavano nel deserto, nel rave di Reim. Dopo averla letta, chiede di mettere ai voti la mozione: di “condanna dell’aggressione criminale compiuta da Hamas”. Ma succede qualcosa. “Dopo di me”, racconta al Foglio, “prendono la parola altri tre membri del consiglio. La prima contesta il punto di vista che avevo proposto, ritenendolo unilaterale, schiacciato sulle posizioni israeliane. Gli altri si allineano dicendo che non è quella la sede per stabilire i torti e le ragioni del conflitto”.
La direttrice del dipartimento, Dora Gambardella, stabilisce che è meglio evitare di mettere ai voti la mozione. Alla scelta, preferisce l’immagine di un’università che non riesce a dire che parte sta, nel momento in cui il pogrom torna a essere un’opzione della storia contemporanea. Le chiedo allora cosa non condivide della mozione presentata nel suo dipartimento. Risponde: “Personalmente, avrei usato le parole di Papa Francesco, la guerra è sempre una sconfitta”. Ma il testo chiedeva una condanna del massacro di Hamas. “Non era solo quello. Conteneva anche un punto di vista che non era stato discusso. E non si può valutare in dieci righe una situazione complessa come quella in cui si trovano Israele e la Palestina. La nostra missione è educare”. Educare a tollerare i massacri? “Ma che dice? Io condanno il terrorismo in maniera chiara, in qualsiasi parte del mondo si manifesti”. Però qui si chiedeva una posizione precisa su Hamas. “E io condanno anche Hamas”. Allora perché non avete votato la mozione? “Ma lei pensa che i nostri giovani possano capire com’è andata la storia di questo conflitto leggendo un testo così breve?”. No, certo: ma non era quello l’obiettivo. E la storia, be’, dipende anche da come la si insegna.
A seicento metri dal dipartimento di Scienze sociali della Federico II, gli studenti dei collettivi hanno srotolato una enorme bandiera palestinese all’ingresso di un’altra importante università di Napoli, l’Orientale.