Ogni volta che una donna muore per mano di un uomo ci sentiamo svuotate, annientate, impotenti. Accade oggi per Giulia Cecchettin che era sul punto di laurearsi ed è stato così per Giulia Tramontano che stava per avere un bambino, per Maria Causo uccisa e gettata vicino ai cassonetti e per le decine di migliaia di donne morte ammazzate nel mondo ogni anno. Vite spezzate, sogni infranti, un futuro che non c’è più. Ci siamo sentite così per le ragazze violentate a Palermo e a Caivano e per tutte coloro che vengono aggredite, picchiate e molestate ogni giorno. Quante altre donne dovremo piangere prima che cambi qualcosa? E che cosa deve cambiare perché nessuna madre, sorella, figlia, amica debba morire più? Negli ultimi mesi sono riuscita a capire meglio la violenza che ci circonda grazie al film Women talking della regista Sarah Polley. Il film è tratto dal romanzo omonimo della scrittrice canadese Miriam Toews che si è ispirata a fatti accaduti una decina di anni fa. Le protagoniste della storia sono le donne di una comunità rurale, isolata dal mondo moderno, in una località non meglio specificata. Lì le donne non possono andare a scuola e il loro ruolo all’interno del villaggio è confinato al lavoro nei campi e alla cura dei figli. Ogni sera le donne si riuniscono in una stalla per una riunione segreta. Devono decidere al più presto il da farsi. Gli uomini della loro comunità — i loro padri, i loro mariti, i loro figli — sono responsabili di crimini orrendi: ogni notte narcotizzano e stuprano le ragazze del villaggio. Le donne della storia hanno tre scelte: non fare nulla e lasciare che la violenza continui; abbandonare mariti, padri e figli e vivere altrove; oppure restare e cambiare le cose. Non svelerò qui la scelta delle donne nel film ma posso dire quale dovrebbe essere la nostra. Noi non possiamo lasciare che la violenza continui e non possiamo neppure andare via. Non abbiamo un altrove in cui vivere né possiamo/vogliamo lasciare indietro i nostri uomini. Che fare allora?
Nel film c’è un uomo diverso dagli altri. Il suo nome è August e a differenza dei maschi del gruppo sta dalla parte delle donne. August non partecipa alla violenza: non stupra, non picchia, non uccide. August è un insegnante, scrive i verbali delle riunioni segrete, aiuta le donne a realizzare i loro piani. Rinuncia alla donna che ama perché lei si salvi eviva libera. Nel film a lui verrà affidato un compito fondamentale: quello di insegnare alle nuove generazioni di maschi il rispetto, il consenso, le emozioni e la cura. Ecco io credo che il mondo sia pieno di uomini come August. Lo dico perché questi uomini li conosco e perché non voglio rassegnarmi all’idea che il prossimo assassino possa essere figlio mio. Gli uomini sono vittime del patriarcato almeno quanto noi. Noi donne veniamo sessualizzate fin da bambine. Loro invece sono costretti a uniformarsi alla figura del maschio forte e sessualmente dominante, e a reprimere e a camuffare ogni forma di vulnerabilità e sofferenza emotiva. L’anima dei maschi è ferita, scriveva bell hooks. Il patriarcato promette loro potere e successo e poi finisce per deluderli. Usando violenza vogliono dimostrare di essere ancora in grado di controllare il corpo di una donna.
I dati Istat sul modo in cui i maschi percepiscono le donne sono sconcertanti. Un venti percento di loro crede che il modo di vestirsi o il consumo di alcool rendano una donna responsabile per la violenza sessuale subita. Un trenta percento pensa che una donna rifiuti un uomo solo per farsi desiderare. Un quaranta percento ritiene che una donna sia sempre in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale non voluto. E tra i giovanissimi i dati sono anche più allarmanti. La metà pensa che la gelosia nella coppia sia il segnale che l’altro ci tiene. Un quarto ritiene che dire al partner cosa può indossare non sia una forma di violenza. E un terzo c he non ci sia nulla di male nel controllare il cellulare e le amicizie online della persona con cui si sta insieme (dati Fondazione Libellula).
Questa percezione delle donne e della vita di coppia può e deve essere cambiata. Io non credo che tutti gli uomini siano mostri ma credo che molti, con il loro silenzio e la loro indifferenza, contribuiscano alle mostruosità compiute dagli altri. Un nuovo tipo di mascolinità è possibile e gli uomini che la conoscono e la praticano possono dare il buon esempio agli altri, proprio come August. Oggi vorrei che ci fossero più uomini dalla nostra parte e vorrei che anche loro partecipassero a queste conversazioni tra donne, perché siamo stanche di parlare da sole. Non abbiamo un altro mondo in cui vivere, né c’è un posto in cui le donne possano dirsi perfettamente al sicuro. Dobbiamo tenerci questo mondo e cambiarlo insieme. Questa è l’unica scelta possibile. Il film Women talking si conclude con una speranza. Nell’ultima scena una ragazzina tiene in braccio una bimba appena nata: la sua vita sarà diversa, dice.