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La discrezione era forse la cifra principale del carattere di Gilberto Severini, e con questa discrezione se n’è andato martedì sera, in punta di piedi. Severini è morto a Osimo (Ancona), dove era nato nel 1941. Severini è sempre rimasto legato alle proprie origini, a quella provincia spesso al centro della sua narrativa, una provincia le cui atmosfere e personaggi ha saputo rendere con straordinaria efficacia, all’insegna di toni crepuscolari. L’esordio nella narrativa data al 1988 con Partners, pubblicato da Transeuropa, sull’onda lunga del fenomeno dei “giovani scrittori”. In realtà Severini allora aveva già 47 anni. Il fatto di non essere più così giovane (in anni in cui l’editoria era concentrata sui giovani) unito al suo atteggiamento schivo, gli ha sottratto parte della visibilità che avrebbe meritato. Non a caso Pier Vittorio Tondelli, che lo stimava molto, ebbe a definirlo «lo scrittore più sottovalutato d’Italia». Ricerca di sé e della propria identità, amori impossibili, irresolutezza esistenziale, ma anche un’inquietudine religiosa spesso raffreddata dall’ironia eppure ineliminabile perché profondamente radicata nella formazione cattolica: questi i temi al centro della sua opera narrativa, caratterizzata da uno stile sobrio ed essenziale. Il percorso di Severini è poi proseguito con altri titoli, tra cui Fuoco magico (1989), Un breve autunno (1991), Congedo ordinario (1997), La sartoria
(2001). E se in Partners raccontava tre storie paradigmatiche di uomini di mezza età segnati da disinganni, delusioni, rimpianti, scontentezza, desiderio di essere sempre e comunque altrove, nei racconti di Quando Chicco si spoglia sorride sempre (1998) affondava lo sguardo nella memoria, tra nostalgia e disincanto. Dopo aver pubblicato presso vari editori (oltre a Transeuropa, anche Rizzoli), dal 2009 il suo editore esclusivo è stato Playground, che – oltre stampare nuove edizioni dei vecchi libri – ha pubblicato Il praticante, cui sono seguiti nel 2010 A cosa servono gli amori infelici, nel 2013 Backstage e nel 2018 Dilettanti, l’ultima sua opera. «Persona di rara gentilezza», lo ricorda l’agente e critica letteraria Benedetta Centovalli, responsabile della narrativa italiana per Rizzoli quando Severini pubblicava per la casa editrice milanese, che continua: «In lui colpivano la qualità della scrittura, la purezza e chiarezza della lingua, la capacità di trattare temi ed esperienze sempre sul filo di un’intima malinconia. Il suo italiano era da encomio, era assoluto, e si sposava bene con il coraggio di un dichiararsi sottovoce, di un delicato denudarsi». «Elegante, colto, raffinato, preciso, generoso»: così la scrittrice Silvia Ballestra, sua conterranea, che sottolinea come con la scomparsa di Severini «perdiamo un narratore di grande valore, appartato per scelta ma anche purtroppo per destino “regionale”». D’altra parte il caso di Severini conferma un fatto: gli scrittori oggi più validi sono spesso quelli che se ne stanno lontani dalle ribalte mediatiche, meno “visibili” di chi si inserisce abilmente nelle mode del momento.