LA BORSA
Gli hedge fund ora andranno a guardare nella pancia dei grandi istituti quotati per vedere quanti bond a rischio svalutazione hanno a bilancio. Lo scudo Bce
MILANO — Ore agitate anche in Europa prima dell’apertura dei mercati per capire quale potrà essere la portata del fallimento della Silicon Valley Bank (Svb), con un attivo di circa 200 miliardi di dollari. Venerdì le onde telluriche hanno investito anche i titoli bancari delle grandi banche americane ed europee e oggi si capirà se il movimento è stato emotivo o se c’è sostanza sotto. In mancanza di un annuncio della vendita della Svb (l’asta si è aperta sabato) o di una garanzia delle autorità monetarie per i depositi presso la Svb sopra i 250 mila dollari, la settimana di Borsa potrebbe essere turbolenta.
Stando a ciò che è successo venerdì il contagio potrebbe trasmettersi per una via in particolare, quella della valutazione delle perdite nel portafoglio titoli delle banche. Sull’onda dell’emotività, alcuni fondi o hegde fund potrebbero vendere le azioni di quelle banche che, se forzate da un calo dei depositi, potrebbero scaricare una parte dei titoli sul mercato, andando a realizzare perdite finora solo potenziali. Sulla falsariga di ciò che è successo in Svb ma in condizioni e circostanze assai diverse.
Tutto parte dal rialzo repentino dei tassi di interesse che, come è noto, è andato a intaccare i prezzi dei bond, facendoli scendere di riflesso all’aumento dei rendimenti. Ma anche ragionando in questa maniera, il rischio appare limitato. Per fare un esempio, la JP Morgan Chase, una delle più grandi banche del mondo, sopravvissuta alla grande crisi finanziaria inglobando altri istituti in crisi, ha in pancia titoli “held to maturity” (cioé che possono stare in bilancio fino alla loro scadenza) pari a due volte il suo capitale. Ma svalutando questi titoli ai valori di mercato di oggi le perdite sarebbero pari solo al 17% del capitale.
Lo stesso esercizio applicato dagli analisti a Intesa Sanpaolo e Unicredit dà un risultato vicino all’1%. Per Banco Bpm, anch’essa con in pancia titoli pari a due volte il proprio capitale, saremmo al 7%. E per le banche con un attivo totale sopra i 10 miliardi le regole di Basilea 3 dovrebbero aver impedito evidenti squilibri di gestione.
Dunque se le vendite arriveranno saranno speculative e momentanee, anche perché non si vede che cosa potrebbe provocare una fuga di depositi, se non un’improvvisa perdita di fiducia nel sistema bancario mondiale. E poi ci sarebbero le banche centrali che sarebbero pronte a dare liquidità agli istituti che incontrassero dei problemi.
Altre scosse potrebbero arrivare dal mondo delle criptovalute. Nel corso del week end si è saputo che la seconda “stable coin”, Usdc, aveva 3,3 miliardi di dollari depositati alla Svb. La sua quotazione dalla parità è scesa per un attimo a 0,8, poi è risalita a 0,96 quando si è capito che le perdite sui depositi oscilleranno al massimo tra il 20 e il 30% del totale.
Più difficile invece la situazione per il mondo del tech e del fintech, soprattutto in Gran Bretagna. Il cancelliere dello scacchiere, Jeremy Hunt, ha detto ieri che esiste un «serio rischio» per le società tech e “life sciences”, che hanno depositato soldi nella filiale Svb Uk, di non essere in grado di pagare stipendi e bollette. Hunt cerca «una via per minimizzare o evitare tutte le perdite per queste società incredibilmente promettenti».
Dopo la reazione dei mercati arriverà il momento delle banche centrali, accusate da più parti di aver alzato i tassi tardi e poi troppo in fretta. Giovedì toccherà alla Bce confermare un nuovo rialzo dello 0,5%, poi il 22 sarà la volta della Fed che potrebbe limitare la nuova stretta allo 0,25%.