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2 Agosto 2023Turismo e identità
Quanto vale la nostra identità di fronte a un turismo che sta trasformando città e paesi in «non luoghi» da un selfie e via? Quali saranno le conseguenze, nel lungo periodo, di questa trasformazione che rende a ogni latitudine del mondo tutto uguale, levigato, senza sfumature? La scelta del sindaco di Pienza di silenziare i rintocchi notturni (dalle 22 alle 7) dell’orologio civico perché — a detta di un gruppetto di B&B vicini all’edificio del 1400 — disturberebbe il sonno dei clienti, è l’ennesimo arretramento davanti alla voracità di un fenomeno che produce sì ricchezza materiale (tanta per pochi, briciole per i più) ma anche un deserto culturale in cui è sempre più difficile trovare oasi dove trovare sollievo. «La Val d’Orcia si sta trasformando in un villaggio turistico: insieme al turismo di massa sono arrivati i grandi investitori, che non hanno legami con le tradizioni e l’agricoltura del posto. Se i residenti se ne andranno, il paesaggio di queste campagne è destinato a scomparire» ha scritto a giugno Internazionale in un lungo reportage. E per chi conosce bene quel meraviglioso lembo della Toscana, sa che il rischio è reale. Finti gladiatori nei campi dove è stata girata una scena del film di Ridley Scott con Russel Crowe, offerte enogastronomiche snaturate solo per compiacere chi mangia, beve e passa alla prossima esperienza «sensoriale». Certo non manca chi resiste.
Ma è una battaglia dura, contro un modello socio-economico incentrato sul profitto immediato. La stessa battaglia che decine di comitati e gruppi di residenti combattono ogni giorno, a Firenze come a Roma, a Barcellona come a Parigi. Perché l’ospitalità non può diventare asservimento agli interessi del momento: prima le nostre città devono essere abitabili per chi le vive, in modo da generare un tratto identitario, poi possono essere visitabili. Ma con l’obiettivo di creare uno scambio profondo (e non solo economico) tra chi c’è e chi arriva. I rintocchi di quell’orologio, che anche di giorno ora sono quasi oscurati dagli schiamazzi delle comitive che affollano le stradine del centro, hanno dato voce per secoli al tempo delle attività di Pienza. «È un segnale di vitalità», ha detto all’Ansa un residente. Un segnale di identità, aggiungiamo noi, che non può essere cancellato per le lamentele di qualche turista con sindrome da jet lag. «Non siamo gli unici, altri paesi hanno campane nel centro e hanno fatto la stessa cosa», si è giustificato il sindaco Manolo Garosi. Non ci risulta però che qualche turista più o meno facoltoso si sia mai ribellato — per esempio — al canto dal minareto di un muezzin o ai rintocchi del Big Ben di Londra. E allora, tornando alle domande iniziali, siamo così sicuri che un orologio muto oggi non significhi intere città o paesi senza voce domani?
Antonio Montanaro