Cant Take My Eyes Off You – Frankie Valli and The 4 Seasons
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20 Novembre 2022Mostra Il Museo Novecento riporta all’attenzione l’artista fiorentino vissuto in Francia, tra i maestridell’astrattismo internazionale. Un universo pittorico fatto di infinite variazioni e delicate sospensioni
È un rapporto complesso quello che lega Alberto Magnelli a Firenze, città da cui fugge negli anni Trenta, ma che continuerà ad amare profondamente per tutta la vita. Schivo e riservato, orgogliosamente libero dalle convenzioni del gusto, non rinuncerà mai alla sua inconfondibile parlata toscana, né alla sua nota passione per la Viola.
Proprio Firenze, del resto, costituisce un importante punto di riferimento per il giovane Magnelli, che si avvia alla pittura intorno al 1910. Le scene di vita popolare, gli scorci cittadini e le campagne circostanti ispirano le sue prime prove pittoriche. Il suo linguaggio risente inoltre del confronto con la grande tradizione toscana del Tre e Quattrocento, a cui l’artista guarderà sempre con ammirazione. A simili suggestioni si unirà presto l’interesse per le ricerche delle avanguardie internazionali. La stessa Firenze, nella prima metà degli anni Dieci, viene scossa dalla febbrile stagione del Futurismo. Artisti e letterati intensificano i contatti con Milano e con Parigi, ingaggiando un’accesa lotta contro il passatismo. Magnelli è vicino ai futuristi e si interessa alle loro iniziative, visitando, tra le altre, la mostra organizzata da Lacerba nei locali della Libreria Gonnelli, in via Cavour.
L’artista conosce inoltre gli scritti di Guillaume Apollinaire ed è attratto dalle sagome, solide e misteriose, della scultura africana. Guarda altresì con attenzione alle sperimentazioni cubiste e a quelle di Henri Matisse, la cui pittura appare sempre più svincolata da una rappresentazione realistica dell’oggetto. Magnelli crea ora atmosfere incantate, ricorrendo a forme stilizzate e a grandi campiture di colore piatto, in opere in cui il riferimento al dato reale è poco più di un pretesto per costruire smaglianti partiture visive.
Nella primavera del 1914 soggiorna brevemente a Parigi, dove giunge insieme all’amico Aldo Palazzeschi. Frequenta i futuristi, Picasso e la cerchia della rivista Le Soirées de Paris , stringendo un’importante amicizia con Apollinaire, che l’anno successivo gli donerà una copia del suo rarissimo volume Case d’Armons , contenente la dedica: «A mon cher ami le Florentin Alberto Magnelli, dont le goût est sûr comme l’amitié» (Al mio caro amico il Fiorentino Alberto Magnelli, il cui gusto è sicuro come l’amicizia).
Magnelli, nel frattempo, è rientrato a Firenze, dove rimane bloccato a causa della guerra. Conducendo le proprie ricerche in tendenziale isolamento, inizia ad esplorare le potenzialità della pittura astratta scegliendo come strumento principale il colore. Nelle sue opere, svincolate da qualsiasi tipo di narrazione, i colori si rispondono, contrastano e deflagrano, fino a raggiungere i ritmi dolci e flessuosi delle Esplosioni liriche , veri e propri inni di gioia innalzati alla fine del conflitto.
Le spregiudicate sperimentazioni della giovinezza verranno tuttavia ben presto sostituite da una pittura più tradizionale: in Italia soffia, potente, il vento del ritorno all’ordine e anche Magnelli recupera la figurazione. I suoi dipinti, caratterizzati da volumetrie essenziali, si aprono ad un realismo definito «immaginario».
Sono gli ultimi anni fiorentini. Agli inizi degli anni Trenta, Magnelli abbandona il nostro Paese per trasferirsi definitivamente in Francia. Rimane tuttavia vivo in lui il ricordo del paesaggio toscano, in particolare delle cave di Carrara. Magnelli fantastica sulla «vita» dei grandi blocchi di marmo, che nella sua mente si animano. È un’illusione poetica, che trova presto una traduzione visiva nella celebre serie delle Pierres . In queste opere, sospese tra figurazione e astrattismo, Magnelli sembra ridurre al silenzio la pittura e quasi presagire le dolorose vicende che scuoteranno l’Europa negli anni della Seconda guerra mondiale. Saranno per lui anni molto duri, sia dal punto di vista umano, che da quello professionale. Dovrà inoltre rinunciare a dipingere, a causa delle difficoltà di approvvigionamento dei materiali. Realizza quindi dei collage con mezzi di fortuna, tra cui una serie su fogli pentagrammati che lo stesso artista definirà «musica per sordi». Magnelli perviene ora alla formulazione di uno stile del tutto originale. Nel silenzio del suo studio, si dedica a una calibrata modulazione di linee e piani colorati, ricorrendo agli elementi essenziali della visione. Esprime così in modo diretto, senza filtri o mediazioni, l’essenza della pittura, che è sempre astratta e sempre, necessariamente, concreta. Esattamente come le opere degli anni giovanili, anche queste si offrono ai nostri occhi come ricercate partiture cromatiche: pur essendo ciascuna contrassegnata da una propria intonazione, in esse rimane costante la capacità di trasportarci in una dimensione «altra», intrisa di una musicalità sommessa e garbata. La ricerca di una calibrata definizione formale si riverbera, pertanto, in eleganti orchestrazioni di linee e di colori, basate su morbide e, al contempo, repentine variazioni di ritmo. È una sintassi alle volte franta, altre distesa, altre ancora sincopata quella che sostanzia la poesia semplice e autentica di questo grande «pittore fiorentino».
Le leggi armoniche che regolano i rapporti tra le superfici cromatiche — armocromie , potremmo dire, per semplificare — costituiscono pertanto la chiave dell’intero universo pittorico di Alberto Magnelli: un universo fatto di infinite variazioni, crescendo improvvisi e delicate sospensioni, che si rivela oggi in tutta la sua vivace creatività.