Debiti e dimissioni. Così Siena Jazz rischia il collasso
5 Novembre 2023The Economist today
6 Novembre 2023Quasi sempre, una crisi politica è aggravata da cattivi leader. Quasi sempre, quella crisi non si risolve senza buoni leader. In Medio Oriente, c’è un’abbondanza dei primi, ma una scarsità dei secondi. Per questa ragione, è improbabile che la soluzione del conflitto israeliano-palestinese possa provenire dai leader sul campo. E all’esterno, ce ne sono? Non proprio. Vediamo come stanno le cose. Cominciamo dai leader sul campo. La loro inadeguatezza, sia sul versante palestinese che israeliano, è drammatica. Naturalmente, la crisi medio-orientale è il risultato di complessi processi storici, la cui conseguenza (l’antagonismo tra israeliani e palestinesi) non è facilmente neutralizzabile. Tuttavia, Benjamin Netanyahu ha sistematicamente operato affinché quell’antagonismo crescesse, mentre Abu Mazen ha fatto poco o nulla affinché diminuisse.
di Sergio Fabbrini
Quasi sempre, una crisi politica è aggravata da cattivi leader. Quasi sempre, quella crisi non si risolve senza buoni leader. In Medio Oriente, c’è un’abbondanza dei primi, ma una scarsità dei secondi. Per questa ragione, è improbabile che la soluzione del conflitto israeliano-palestinese possa provenire dai leader sul campo. E all’esterno, ce ne sono? Non proprio. Vediamo come stanno le cose. Cominciamo dai leader sul campo. La loro inadeguatezza, sia sul versante palestinese che israeliano, è drammatica. Naturalmente, la crisi medio-orientale è il risultato di complessi processi storici, la cui conseguenza (l’antagonismo tra israeliani e palestinesi) non è facilmente neutralizzabile. Tuttavia, Benjamin Netanyahu ha sistematicamente operato affinché quell’antagonismo crescesse, mentre Ab? M?zen ha fatto poco o nulla affinché diminuisse.
Netanyahu ha agito sistematicamente per dividere i palestinesi, consentendo al Qatar di trasferire soldi e armi ad Hamas che controllava Gaza, così come ha promosso l’espansione di colonie israeliane in Cisgiordania per indebolire il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) su quest’ultima. Si tratta di un leader politico irresponsabile, espressione di un gruppo di leader fondamentalisti altrettanto irresponsabili. Tant’è che la pressione per la sua esclusione dal potere è diventata dirompente (si pensi all’editoriale del Financial Times del 31 ottobre), anche perché sono in molti a ritenere che la durezza (ingiustificabile, anche legalmente) dell’attacco a Gaza sia stata voluta da Netanyahu per offuscare le proprie responsabilità. Anche Ab? M?zen è il rappresentante di un ceto politico inadeguato. La leadership palestinese non ha mai compreso la differenza tra la democrazia e l’autocrazia. Ha combattuto Israele come se fosse un mero stato colonialista, la cui politica interna era considerata simile a quella autocratica degli stati arabi limitrofi. Non ha mai capito che la democrazia di Israele si basa sul consenso (e non sui carri armati), un consenso che solamente la lotta non-violenta avrebbe potuto intaccare. Lo capì invece Gandhi, che riuscì a sconfiggere (a partire dalla Marcia del sale del marzo-aprile 1930) il colonialismo britannico a Londra prima ancora che a Delhi, sottraendogli il consenso interno. Lo capì Martin Luther King, trent’anni dopo, che promosse un movimento non-violento che delegittimò la supremazia bianca nelle coscienze degli americani prima ancora che nelle leggi. Lo capì Nelson Mandela, ancora trent’anni dopo, che riuscì a delegittimare il consenso al regime sudafricano dell’apartheid con la disobbedienza civile, creando un nuovo regime che includeva anche gli sconfitti di quello precedente. La leadership palestinese, invece, non ha mai compreso le basi morali della democrazia.
Ma leader impegnati a risolvere il conflitto israeliano-palestinese mancano anche all’esterno di quest’ultimo. I leader della Russia e della Cina hanno tutto l’interesse che il conflitto continui. In questo modo, per i primi, l’attenzione non sarà puntata sull’Ucraina e, per i secondi, su Taiwan. I leader dei Paesi arabi non hanno interesse che il conflitto si risolva, in quanto la sua esistenza attira verso di loro risorse e opportunità. Gli sciiti iraniani vogliono che il conflitto prosegua, così da impedire ai sunniti di trovare un accordo con Israele. Potrebbero essere i leader europei a promuovere la soluzione del conflitto, visto che quest’ultimo è il risultato delle politiche coloniali inglesi perseguite dopo la Prima guerra mondiale e dell’Olocausto tedesco della Seconda guerra mondiale. Ma gli europei non hanno né il potere (per promuovere una soluzione) né un progetto condiviso (per avviare una soluzione). La presidente della Commissione europea vola a Tel Aviv per esprimere “totale solidarietà” ad Israele. Subito dopo, il presidente del Consiglio europeo fa una dichiarazione critica nei confronti della reazione israeliana. L’Alto Rappresentante per la politica estera rilascia ripetute interviste in cui esprime “totale solidarietà” ai palestinesi di Gaza. Il cancelliere tedesco e il presidente francese volano separatamente in Israele per fare proposte diverse. Il premier spagnolo propone una conferenza internazionale per discutere non si sa che cosa. Nella votazione sulla Risoluzione non vincolante delle Nazioni Unite del 27 ottobre scorso, 9 paesi dell’Unione europea hanno votato a favore, 14 si sono astenuti, 4 hanno votato contro. Così, l’unica leadership che può promuovere una soluzione del conflitto è (di nuovo) quella americana. Essa è l’unica leadership che ha una visione globale e le risorse per agire (si legga l’intervento di Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, su Foreign Affairs del 24 ottobre). L’unica che può condurre alla soluzione dei due stati per il conflitto israeliano-palestinese, anche se la sua pressione sul governo israeliano affinché contenga la sua aggressività a Gaza sembra non avere ascolto a Tel Aviv. Tuttavia, la presidenza di Biden deve fare
i conti con un Congresso ingovernabile e che non la sostiene e un partito repubblicano, dominato da Donald Trump, che vorrebbe lasciare l’Ucraina e i palestinesi al loro destino.
Insomma, senza buoni leader, dotati di risorse e visione, non si potrà risolvere il conflitto israeliano-palestinese. Per il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), i leader buoni sono quelli capaci di inserire le dita negli ingranaggi della storia, per farli girare in una direzione diversa. In Medio Oriente, ci vorrebbe un leader collettivo per fare ciò, talmente quegli ingranaggi si sono arrugginiti. Come fare?