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16 Luglio 2023Per la prima volta in italiano le lettere della futura filosofa al fidanzato Gregorio del Campo Il tema della nascita si insinua ovunque, sotto diversi aspetti
La ferita del nascere è il « non essersi accontentati di essere stati semplicemente creati? L’aver bramato di nascere? Perché nascere è possibile solo fuori dal Paradiso », scrive María Zambrano (1904-1991) nel suo Aurora.
Ma a questa considerazione che rimodula il Calderón de la Barca di La vita è sogno ne fa seguire un’altra, di segno opposto. In Delirio e destino, testimonia la meraviglia che scaturisce dall’«aprire gli occhi alla luce sorridendo, benedire il nuovo giorno, l’anima, la vita ricevuta, la vita… Un regalo di Dio che ci conosce, che sa il nostro segreto, la nostra inutilità ». La nascita dunque, per la grande pensatrice iberica, è la cifra della vita. È l’evento che incombe sull’uomo e sulla donna, da intendersi però insieme al dis-nascere o al ri-nascere. La creatura umana vive in cammino tra Scilla e Cariddi, tra «il voler dis-nascere o il voler ri-nascere. Ci sono religioni del dis-nascere e quelle del ri-nascere. La storia della creatura umana a partire dall’orrore per la nascita è infatti una lotta tra il disinganno e la speranza, tra realtà possibili e sogni impossibili, tra mistero e delirio» ammonisce in Verso un sapere dell’anima. Intorno a questo passaggio gravi-ta il pensiero della pensatrice. Fino a qualche tempo fa, pretestuose interpretazioni psicoanalizzanti attribuivano l’attenzione al problema della nascita al fatto che Zambrano non fosse stata madre, alla pari dell’altra imponente
filosofa della nascita del Novecento, Hannah Arendt. Ora questa speciosa argomentazione si sgretola a fronte della pubblicazione della corrispondenza di María Zambrano con il fidanzato Gregorio del Campo, disponibile per la prima volta in italiano con l’uscita in libreria di L’amore a Segovia (pagine 270, euro 22,00), con cui la casa editrice Morcelliana continua la pubblicazione delle opere della filosofa. Il volume è corredato, oltre che dalla postfazione della curatrice Manuela Moretti, anche da una perspicua prefazione di Silvano Zucal e dall’introduzione di María Fernanda Santiago Bolaños, a cui si deve la scoperta di questo epistolario nell’estate del 2009 presso gli eredi di Del Campo, incarcerato il 19 luglio 1936 a Saragozza dai franchisti e poi fucilato il 6 settembre a Pamplona.
Si tratta di un fidanzamento durato dal 1921 al 1926, che però nell’esistenza terrena di Zambrano getta un’ombra lunga quanto una vita. Dalle lettere filtrano le emozioni di una ragazza innamorata che con il suo fidanzato (delle cui missive purtroppo non disponiamo) commenta libri, autori e film. Racconta vicende riguardanti le amiche, i propri studi, timori e le speranze di una ragazza che a Segovia, dove visse tra il 1908 e il 1924, incontrò i primi amori, tra cui quello con del Campo, conosciuto nel 1921, dopo la partenza del cugino il cugino Miguel Pizarro per il Giappone. Non sono molti gli anni del legame e verde è l’età di entrambi, eppure con il futuro capitano accarezzerà il sogno di un matrimonio e avrà pure un bambino morto poco dopo la nascita. Sta qui la novità rivelata dalle lettere, di cui due sono pubblicate qui a fianco.
Esse rivelano l’ingenuità degli anni giovanili e di certo un pensiero aurorale e grezzo, che si aspetta ancora di essere ampiamente dirozzato dagli studi e dalla vita. Ma rivelano già temi che staranno al cuore del pensiero della Zambrano matura. Il tema della nascita, anche per quanto provato nelle viscere, nelle entrañas, per la precoce scomparsa del figlio, si insinua ovunque, sotto diversi
aspetti, anche quello del mistero della generazione femminile, del dono della nascita. «Considero il matrimonio qualcosa di sacro, in grado di commuovermi nel mio essere più profondo, in ciò che mi unisce all’intera Natura, alla vita degli astri, alla vita del Cosmo, al gran principio universale della femminilità (il femminile ha un’essenza più profonda rispetto al maschile) scriverà al fidanzato -. L’intera Natura dovette sentirsi donna nel momento in cui venne fecondata dal soffio divino del Creatore. E la terra? Quando il seme viene depositato in essa, che cosa significherà per il seminatore? (qualcosa di grande, in ogni caso); ma [cosa significherà] per la terra, quando si sente scossa nell’accogliere amorevolmente il seme che la rende feconda, che la fa sentire terra, e senza il quale sarebbe un povero masso! E io sono questo, vita mia, con te sono una donna, sono terra che produce e dà frutto, senza di te sarei un povero masso arido e sterile, un masso più o meno forte e di valore ma sempre un povero masso sterile, secco e arido».