
“In guerra muore la parola Fotografo la forza e la dignità di chi resiste”
27 Aprile 2025
Nell’estasi ci specchiamo tutti. Un autoritratto contemporaneo
27 Aprile 2025Da un paio di anni ci vengono proposte dall’editore Aragno, a cura di Giovanni Balducci, delle piccole raccolte di scritti di Mario Praz, pertinenti ad aree di conoscenze fuori dell’esercizio professionale del sommo anglista, ma pur sempre entro la giurisdizione di quell’area così tipica di lui che fu l’antiquaria nelle sue varie manifestazioni, soprattutto specificata nel collezionismo, particolarmente di mobilia, di oggetti di arredamento e di libri.
Per la verità la serie s’era iniziata nel 2022 extra moenia, con alcune ricognizioni soprattutto nell’Italia sfigurata (Misteri d’Italia): poche pagine destinate nel 1958 al «Borghese» di Leo Longanesi; ma era proseguita davvero intra moenia, prima con un elogio degli antiquari, croce e delizia di Praz (Omelette soufflée à l’antiquaire), poi con Collezionare libri (entrambi nel 2023), apparsi in origine in sedi, diciamo così, di minor tiratura.
Più voluminoso, sul finire del 2024 è uscito Alcibiade, che reca come sottotitolo Gli articoli di «Paese Sera» 1960-1972 («Biblioteca Aragno», con due introduzioni, del curatore Balducci e di Alvar González-Palacios, pp. XXXIII-214, € 28,00).
Bisogna dire che desta una certa sorpresa ripensare alla collaborazione degli anni cinquanta col «Borghese», sull’altra riva, la destra, del fiume; ma bisogna aggiungere che maggior sorpresa suscita pensare che quel professore conservatore attratto da oggetti da altri schivati (per loro danno), negli anni della contestazione prestasse la propria opera a quel quotidiano di sinistra: per i più giovani, va rammentato che l’arco parlamentare avviato nella Capitale dalla destra di Il Tempo, con al centro Il Messaggero, trovava in Paese Sera l’ala sinistra, con curiose mescolanze di giornalismo di cultura – una buona terza pagina e un buon supplemento libri – e cronaca nera, oltre che di politica come allora si diceva, «fiancheggiatrice» del Pci.
Uno dei nostri grandi saggisti, perfino teorico della forma saggio quale «capriccio», abbandonato il Corriere della Sera proprio nel 1958, quando fu finalista al Premio Strega con La casa della vita – quel lussureggiante, supremo esercizio di mnemotecnica – contrapposto niente di meno che al Gattopardo, divise in due i servizi di scrittura per quotidiani, entrambi romani: tra l’ala destra di Il Tempo, dove la firma era «Mario Praz», e l’ala sinistra di Paese Sera, dove i suoi articoli, subito dopo l’esordio firmato, apparivano con lo pseudonimo appunto di «Alcibiade», scelto non quale richiamo classico, ma quale «tributo al mio nonno materno», come rivelato in una famosa intervista ad Antonio Gnoli: un ufficiale dei Carabinieri che era stato un modello.
Benché noti ai più accaniti lettori di Praz, come riuniti adesso – non più affidati a disparati volumi – gli articoli per Paese Sera consentono qualche nuova considerazione. La prima è la certa atarassia di Praz di fronte allo schierarsi politicamente; la seconda è che questi articoli, tutti recensioni di libri, sono per buona parte incentrati su cose romane, al modo del panopticon elevato da Praz per due volte a titolo, entrambe le volte aggettivandolo con «romano». Anche stavolta lo sguardo sulla città, sul suo passato e sul suo presente, è uno sguardo preciso benché indiretto, mediato dalle pagine che danno occasione al recensore.
In più va aggiunto che i dodici anni di collaborazione che hanno fruttato questa cinquantina di articoli, consentono come in paradigma di scorgere tutto Praz saggista quotidiano. Per chi ne abbia sintonia, un libro così, come ogni libro di Praz può diventare una festa dell’intelletto, e un po’ anche dei sensi.