Dario Pappalardo
PARIGI
Marguerite è il tempo che passa: il profilo di bronzo di una bambina di otto anni; lo sguardo di una dodicenne con il vestito rosso fauve che legge un libro; l’adolescente che scrive; la giovane donna con il foulard nero al collo per nascondere la cicatrice di una tracheotomia; quella con il gatto in grembo; la signora al sole di Nizza e la combattente che torna, rinata, dall’inferno. Marguerite, Margot per chi la ama, non è solo la figlia di Henri Matisse, ma via via ne è la modella, l’assistente, l’agente, la destinataria di tante lettere, l’alter ego silenzioso e deciso: « Noi abbiamo un sistema nervoso dello stesso tipo » , le dice lui. A Parigi, la mostraMatisse et Marguerite – Le regard d’un père al Musée d’Art Moderne ( a cura di Isabelle Monod- Fontaine, Hélène de Talhouët e Charlotte Barat-Mabille, fino al 24 agosto) indaga per la prima volta una relazione rimasta per tanti anni sotto gli occhi di tutti – centinaia i dipinti con le sembianze di lei sparsi nei musei del mondo – ma mai analizzata a fondo. Qui un percorso composto da più di 110 opere, che comprende anche documenti e fotografie, ricostruisce un pezzo di storia del Novecento, e non solo dell’arte. Marguerite Matisse nasce il 31 agosto 1894. La madre, Caroline Joblaud, posa a più riprese per il pittore allora ventiquattrenne, ma larelazione finisce e Henri riconosce la bambina. La vede regolarmente, di fatto è un ragazzo padre, se ne prende cura come all’epoca accadeva raramente. L’ 8 gennaio 1898, l’artista sposa Amélie Parayre che lavora in un negozio di cappelli. Dopo pochi mesi, la coppia accoglie in casa Margot che da allora crescerà con loro e con i fratelli in arrivo: Jean e Pierre. Ma nella casa-atelier al quinto piano del numero 19 di quai Saint-Michel, a Parigi, Marguerite diventa qualcosa di più, è la “piccola amica cara” del suo papà, l’unica presenza fissa autorizzata nello studio, il volto attraverso cui Matisse perfeziona e sperimenta la sua tecnica. « Prendo dalla natura quello che mi è necessario. Combino minuziosamente tutti gli effetti. Non raggiungo mai il risultato di getto, ma si tratta di un lungo lavoro di riflessione». La figlia è il punto di partenza di questa riflessione: i disegni lo dimostrano, quelle tante variazioni su uno stesso soggetto – il volto di lei, in questo caso – che sono parte necessaria del processo di conoscenza di Henri: accadrà anche con i suoi capolavori notissimi, dal Pescatore alla Danza,portati a termine in più versioni.
Margot è quello che Jean- Pierre Léaud sarà nei film di François Truffaut. L’Antoine Doinel della saga inaugurata da I 400 colpi è infatti un corpo che cambia nel tempodavanti alla macchina da presa, come l’erede di Matisse fa sulla tela. In pochissimi, nella storia dell’arte, sono stati protagonisti della produzione di un unico artista per mezzo secolo. La consapevolezza del colore sarà tale nella ragazza che lei stessa si lancerà nell’avventura della pittura. Ecco un autoritratto, una natura morta, Nizza vista dall’alto. Trentenne, espone in una collettiva parigina di artiste, alla Galerie Barbazanges in Faubourg Saint- Honoré. Rinuncia alla carriera di pittrice, preferisce disegnare abiti, forse per pudore, forse per non dover combattere con l’ombra del genitore. Per lui continua a posare nella prima metà degli anni Venti: tra le falesie di Ètretat; affacciata alla finestra, mentre ammira una regata a Nizza; nel dipinto La Terrasse è vestita all’orientale e divide la scena con la modella Henriette Darricarrère, che, coperta solo dalla cinta in giù, la guarda mentre tiene un violino: Margot qui non è solo la figlia del pittore, ma un elemento integrante del suo immaginario, persino di quella costruzione esotica tutta personale – oggi impensabile – che è parte della fortuna del francese.
Nel 1924, Henri realizza alcuni veloci ritratti di lei, che intanto ha sposato lo scrittore Georges Duthuit. Sono disegni istantanei, alcuni appaiono su un quaderno in una teca della mostra. Per vent’anni saranno gli ultimi. Ma la relazione tra i due non si interrompe, tutt’altro. Lei diventa la curatrice delle esposizioni paterne, la custode delle opere – lo sarà fino alla morte, nel 1982; lui se ne va nel 1954 –, sorveglia la tiratura delle incisioni, organizza l’evento alla galleria Tannhauser di Berlino, nel 1930, e poi la retrospettiva dell’anno successivo presso Georges Petit. Nonpotrà visitare la monografica che il MoMA di New York dedica al padre nel 1931 perché il 14 novembre nasce il figlio Claude.
Poi, le pagine più nere della storia del Novecento entrano anche a casa Matisse. Nel maggio 1940, con l’avanzata dei tedeschi, tanti francesi ripiegano verso sud. Henri ripara a Nizza. Spaventata dall’avvento dei nazisti, Margot spedisce Claude al seguito di amici di famiglia negli Stati Uniti. Ma prima, a Marsiglia, il bambino può incontrare suo nonno. È in questa occasione che il pittore schizza velocemente una serie di immagini del nipote che sono forse tra gli oggetti più commoventi esposti al Musée de l’Art Moderne: un souvenir disperato che il maestro consegnerà alla figlia per riempire la distanza. Passeranno sei anni, prima del prossimo ritratto di quello che sarà ormai un adolescente con gli occhi grandi el’espressione grave della madre.
Intanto, nell’autunno del 1943, Marguerite entra nella Resistenza: «Sono fatta della stessa materia dei guerrieri», scrive. Il 13 aprile 1944 è arrestata a Rennes dalla Gestapo, torturata e portata verso la Germania il 3 agosto. Il suo treno si ferma a Belfort: viene rilasciata miracolosamente il 26 e presa in carico dalla Croce Rossa. Il padre ignora dove sia, lei raggiunge a piedi la Svizzera, poi la Francia, lo rassicura sulla sua sorte con una cartolina il 10 ottobre. Si rivedono, finalmente, nella seconda settimana del gennaio 1945. Per una decina di giorni si ritrovano faccia a faccia ogni pomeriggio, riprendono la posizione che fu loro così familiare: un pittore e la sua modella, un genitore di fronte alla sua bambina scampata al male assoluto. Marguerite rivela a Henri l’orrore di quello che lui chiama “ la casa della morte”. Il pittorericorderà: « Rivedo ancora le quasi due settimane trascorse insieme durante le quali mi identificavo a tal punto con i tuoi ricordi da esserne totalmente annientato. È così che non ho potuto fare il tuo ritratto, pur avendo davanti a me carta bianca e carboncino sotto mano pressoché ogni giorno». Nonostante tutto, tenta di disegnarla ancora una volta. Due carboncini esposti ne sono la testimonianza. Il primo è un’immagine tremolante, toccante, dalla quale emerge il viso di una nuova Margot, un fantasma che riprende lentamente sembianze umane: « Ti ho trovata talmente cambiata » , le scrive. È « trasformata, tranquilla, soddisfatta, ringiovanita » , telegrafa al figlio Pierre. Il maestro ritrova la sua Margherita e la guarda ancora una volta, come un padre guarda una figlia che consegna, finalmente, alla storia.