Ci sarà un giudice a Francoforte? Ci spera Mediobanca, che si appella alla Bce nel tentativo di frenare l’assalto alle Generali lanciato da Francesco Gaetano Caltagirone alleato alla famiglia Del Vecchio. In sostanza, l’istituto guidato da Alberto Nagel ha segnalato alla Banca centrale europea che per effetto dell’ops lanciata sul Monte dei Paschi, gli aspiranti scalatori potrebbero prendere il controllo di Mediobanca e da qui spiccare il volo per mettere sotto chiave anche il gruppo assicurativo, obiettivo finale di tutta la manovra.
L’operazione verrebbe di fatto realizzata grazie a un accordo tra azionisti che non è stato reso noto al mercato. I due alleati riuscirebbero così a ottenere un’influenza dominante nella gestione delle società coinvolte, aggirando le norme che prevedono la comunicazione obbligatoria alla Bce, e quindi anche al mercato, ogni volta che si superano determinate soglie di partecipazione nel capitale sociale di istituzioni finanziarie.
In poche parole, Mediobanca punta il dito sul presunto concerto tra azionisti che, se dimostrato, potrebbe portare la Bce a congelare i diritti di voto sulle azioni frutto dell’intesa vietata. In particolare, l’intervento andrebbe a colpire le partecipazioni dei due alleati in Mps, e cioè l’8 per cento di Caltagirone e un altro 9,8 in portafoglio a Delfin, la holding lussemburghese dei Del Vecchio.
Resa dei conti a Trieste
La segnalazione all’authority di Francoforte, svelata da un articolo del Financial Times, è avvenuta nell’ambito dell’iter autorizzativo dell’ops del Monte su Mediobanca. La decisione finale della banca centrale, con gli eventuali provvedimenti, dovrebbe arrivare entro giugno.
Prima del semaforo verde della Bce, il Monte non potrà dare il via all’offerta sulla banca guidata da Nagel. Già entro tre settimane, invece, andrà in scena un altro confronto decisivo, una sorta di resa dei conti tra i due fronti rivali. Il 24 aprile è infatti in programma l’assemblea di Generali, che all’ordine del giorno prevede, tra l’altro, il rinnovo del consigli di amministrazione della compagnia. Venerdì scorso sono stati comunicati i nomi dei candidati della lista presentata da Mediobanca, 13 in tutto, e di quelli scelti da Caltagirone, che sono sei.
Se dovesse prevalere l’immobiliarista romano, nel nuovo board potrebbero così fronteggiarsi sei esponenti legati allo scalatore e altrettanti in quota alla banca d’affari, con un tredicesimo consigliere espressione degli investitori istituzionali, che tramite Assogestioni, sostiene altri quattro candidati. Una situazione inedita, resa possibile dalla Legge Capitali approvata l’anno scorso dal Parlamento, una legge fortemente voluta dal governo Meloni e, non per niente, molto apprezzata dagli avversari di Mediobanca.
Due al comando
Con un board spaccato in due diventerebbe complicato gestire Generali, ma la situazione potrebbe risolversi nel giro qualche mese, se, Bce permettendo, Mps prendesse il controllo di Mediobanca. A quest’ultima fa infatti capo una quota del 13 per cento di Generali, che si sommerebbe al 17 per cento circa (9,9 per cento Del Vecchio, 7 per cento Caltagirone) già in portafoglio agli scalatori.
I quali, va ricordato, possiedono anche oltre il 27 per cento di Mediobanca (19,8 per cento Del Vecchio, 7,6 per cento Caltagirone) e più di recente sono diventati anche azionisti rilevanti del Monte, che, come detto, vede gli eredi di Leonardo Del Vecchio proprietari di una quota del 9,8 per cento, con l’immobiliarista romano all’8 per cento circa.
Nello scenario che i manager di Nagel hanno portato all’attenzione della Bce, è qui di possibile che due soli soci, con una quota che non supera il 18 per cento, riescano a prendere il controllo di una catena societaria che porta fino alla compagnia di assicurazioni guidata da Philippe Donnet. Tra l’altro, va considerato che Del Vecchio era stato a suo tempo autorizzato da Francoforte ad aumentare la sua quota di Mediobanca dal 10 al 20 per cento a patto che l’investimento fosse solo di carattere finanziario.
La Bce dovrà quindi valutare se questa disposizione verrà violata nel caso la quota di Delfin nella banca d’affari fosse funzionale anche al controllo di Generali.
Botta e risposta
Una prima verifica importante delle ambizioni degli scalatori è prevista con l’assemblea di Mps in calendario il 17 aprile, quando i soci dovranno tra l’altro esprimersi sull’aumento di capitale al servizio dell’ops su Mediobanca.
Venerdì scorso il proxy advisor Iss, la società che fornisce consulenza agli investitori istituzionali, ha bocciato l’offerta sostenendo, tra l’altro che, le sinergie tra le due banche sono limitate e potrebbero ulteriormente diminuire per effetto di una difficile integrazione post-fusione tra due istituti di credito con cultura e profili aziendali così diversi tra loro. Inoltre, Iss afferma che Siena sta facendo un’offerta per un target di gran lunga più grande e senza accesso alla due diligence. Di conseguenza il consiglio del proxy è di votare contro l’aumento di capitale.
I vertici di Mps però hanno reagito definendo «inaccurata e incompleta» l’analisi di Iss, anche perchè di norma le ops e le opa non prevedono, per definizione, «alcuna attività di due diligence». Quanto alle dimensioni, nella nota diffusa dal Monte viene fatto notare che il valore di mercato di Mediobanca è «fortemente influenzato» da quello della partecipata Generali. Quindi dal punto di vista delle rispettive attività bancarie le società «hanno dimensioni comparabili».