Mps: ad oggi ogni giudizio è prematuro
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8 Agosto 2022L’anno zero del centrosinistra
La giornata di ieri merita di essere ricordata come una delle più intense, per non dire drammatiche, nella storia del centrosinistra e in particolare del suo partito architrave, il Pd. Anni di equivoci, contraddizioni, mediazioni alte e basse: tutto sembra essere franato per un inciampo. In altri momenti si sarebbe detto un inciampo minore, dato che si tratta del rapporto con Calenda, personaggio estroso e dinamico ma pur sempre accreditato del 4-5 per cento (in alleanza con +Europa che in ogni caso lo ha lasciato solo). Invece la rottura brutale, annunciata in televisione, dell’intesa appena raggiunta con Letta toglie al Pd un supporto nel mondo moderato. Calenda lo definisce «liberale» e forse qui c’è un eccesso di enfasi: però è quel mondo che in passato ha votato per formazioni di centro o di centrodestra e che stavolta poteva farsi tentare dalla combinazione Pd-Azione.
Tuttavia per funzionare il binomio avrebbe dovuto abbracciare con convinzione un progetto politico di stampo, appunto, liberaldemocratico. Così in effetti era sembrato per un attimo, quando l’altro giorno è stato firmato il «patto politico» a due, dando addirittura l’idea che stesse nascendo una diarchia. Di sicuro tale era anche l’intenzione di Letta, diarchia a parte, consapevole che occorresse qualcosa di innovativo per sottrarre voti al centrodestra e limitare i danni elettorali. Con parecchio ottimismo si poteva persino sognare di pareggiare o quasi il conto dei seggi al Senato, inaugurando così la legislatura in un’atmosfera meno fosca. Diciamo che l’operazione “togliamo voti alla destra” era la stessa concepita da Renzi con la suggestione del “terzo polo”. Letta invece sceglieva una strada diversa: da un lato, chiudeva la porta a Conte e ai 5S in quanto avversari di Draghi; dall’altro escludeva Renzi per via delle note ruggini fra i due e soprattutto perché i quadri del Pd mal sopportano l’ex segretario scissionista e non fanno nulla per nasconderlo.
Peraltro, sembravano ragionare Letta e Calenda, se il patto a due funziona, non c’è bisogno di un “terzo polo”, al quale anzi è stata prosciugata l’acqua in cui nuotare. Per un breve momento il gioco sembrava in equilibrio, ma poi il castello di carte ha cominciato a tremare finché è venuto giù tutto.
Sappiamo dell’intesa elettorale di Letta con Fratoianni e Bonelli, personaggi non di primo piano, antipatizzanti verso Draghi non meno di Conte: sul piano mediatico si sono entrambi conquistati una fama sconosciuta, ma a scapito della credibilità dell’accordo appena siglato tra il vertice del Pd e Calenda.
Conosciamo anche il carattere umorale di quest’ultimo, la tendenza ai continui colpi di scena: tuttavia, al di là del modo ruvido con cui agisce, Calenda aveva una linea. Può piacere o no, ma si trattava di dare, da un lato, un seguito logico alla rottura con i 5S, e dall’altro di trasformare in un programma concreto il richiamo aDraghi e al suo programma.
L’operazione è fallita nel momento in cui il Pd lettiano ha voluto occupare una posizione mediana al centro di un’alleanza elettorale vecchio stile, con forte presenza non solo della sinistra interna — come è del tutto logico — ma anche di Sinistra Italiana e Verdi, di cui si sa che lavorano per riprendere i rapporti con i 5S. Forse Letta non poteva agire altrimenti, sta di fatto che la matassa è diventata inestricabile e si è arrivati alla spaccatura col gruppo di Calenda.
Adesso sono tutti all’anno zero.
“Azione” dovrà cercare di riprendere il rapporto con Renzi per verificare se il famoso “terzo polo” è fattibile: tutto lascia supporre di sì. Letta deve prepararsi a una campagna ancora più difficile, tutta centrata sul Pd e le sue proposte. Ben sapendo che lo spazio a disposizione esiste, ma si accentua la curvatura a sinistra, tipica di un partito laburista che rischia di perdere l’ancoraggio al centro.