
Tocci “Si arrampica sugli specchi la geografia le imporrà una scelta”
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29 Marzo 2025INTERVISTA AL «FINANCIAL TIMES» Netta sterzata in favore degli Usa. La decisione dopo il vertice di Parigi. Sullo sfondo anche i dazi. Sull’immigrazione (e non solo) la premier ha però ancora bisogno di Bruxelles
Giorgia Meloni non sta più nel mezzo: su questo l’intervista uscita ieri sul Financial Times, la prima concessa a un quotidiano estero da quando si è insediata a palazzo Chigi, non permette dubbi. Non è neppure «il cavallo di Troia» di Trump, l’alto tradimento di chi «ha ammainato le bandiere dell’Italia e dell’Europa» per vendersi alla coppia di Washington, anche se di questo l’accusano Elly Schlein e molti nell’opposizione ma fa parte delle regole del gioco.
In compenso la leader del terzo Paese dell’Unione ha detto chiaramente che non sarà a fianco del vecchio continente nel braccio di ferro che Macron e Starmer hanno deciso di ingaggiare sul fronte del sostegno all’Ucraina né in quello sui dazi, dove i duri sono il tedesco Merz e la presidente von der Leyen.
L’intervista bomba, del resto, non è esplosa per caso.
La premier la ha tenuta in stand-by in attesa di vedere le carte di Macron e avrebbe deciso di dare il via libera solo dopo che nel summit dell’Eliseo il francese aveva di fatto “tratto il dado” imboccando il percorso che porterà a una qualche forma di impegno diretto di Francia, Inghilterra e volenterosi vari in Ucraina.
Il miraggio della premier resta quello di impersonare la dea ex machina capace di riaprire i canali di comunicazione tra Washington e le capitali europee: «Chiedere di schierarsi con gli Usa o con l’Europa è superficiale e infantile. Se c’è qualcosa che l’Italia può fare per evitare lo scontro Usa-Ue è costruire ponti, e lo farò. Nell’interesse dell’Europa».
Ma il periodo è diventato fortemente ipotetico e se fino a ieri l’italiana si collocava nel centro adesso sta “a tre quarti”, apertamente sbilanciata sul versante di Trump, un leader come lei Conservatore che «difende i suoi interessi nazionali» e figurarsi se proprio lei può non capire e apprezzare.
Non solo infatti la premier italiana vellica il tycoon evitando ogni pur larvata critica mentre strapazza i leader europei che reagiscono «in modo eccessivamente politico» alle cannonate di Trump e si muovono «semplicemente d’istinto» nella partita dei dazi.
Dà ragione a Vance anche sull’epiteto che infiamma d’indignazione tutti gli alleati «parassiti»: «Sono d’accordo. L’Europa si è un po’ persa».
Non che Vance sia il primo a mostrare tanto sprezzo. Obama, certo più cortese però appena appena, aveva preferito un più urbano «scrocconi». Altri tempi.
Pronunciate oggi le parole di Meloni non possono che suonare come una scelta di campo. Se il periodo ipotetico si rivelerà «dell’impossibilità» e le chimere pontiere resteranno tali l’Italia starà con Donald, «a cui sono certamente più vicina che a molti altri».
Quella deriva Meloni spera ancora di poterla evitare. Del sostegno di Bruxelles ha bisogno in due settori determinanti ed essenziali: l’immigrazione e una certa leggerezza nel valutare i progressi del Pnrr. Ma, come si è visto con nitida chiarezza nelle ultime settimane, è una corrente impetuosa a spingerla volente o nolente in quella direzione.
In patria deve vedersela con un Salvini che, a prezzo di sovrumani sforzi, è rimasto silenzioso per un paio di giorni, salvo poi esplodere a tutto campo: «Fra Trump e l’asse Macron-von der Leyen che parla di armi e guerra non abbiamo dubbi su con chi stare. Boicottare i tavoli di pace è irresponsabile».
Il leghista sente il congresso vicinissimo, diventa pirotecnico. Boccia più fragorosamente che mai il riarmo. Annuncia un’imminente «missione con gli imprenditori per rafforzare la partnership con gli Usa come da dialogo con Vance» e tanto varrebbe prendere direttamente a schiaffoni il ministro degli Esteri in diretta tv.
Ma molto più delle intemperanze del leghista, che comunque faranno danno perché Tajani non può farsi scippare ruolo e prerogative senza un fiato e perché la competizione per ingraziarsi The Donald costringerà Meloni ad attestarsi su posizioni più radicali di quanto vorrebbe, a forzare la mano sono le scelte dell’amico americano e quelle degli alleati europei.
Quando due treni corrono sullo stesso binario l’uno contro l’altro, fermarli in tempo senza finire schiacciati è arduo. L’unica per provare a salvarsi è saltare su uno dei due e sarà quello a stelle e strisce. Magari barattando il sostegno con uno sconticino sui dazi.