Chiara Saraceno
Meloni è giustamente orgogliosa di riuscire a dimostrare che si può essere donne e madri e fare non solo carriera, ma assumere ruoli di grande responsabilità e potere, un fatto dato per scontato per gli uomini, ma non per le donne per le quali troppo spesso la maternità, a differenza della paternità, è considerato un dovere totalizzante e perciò anche un vincolo insuperabile e una fonte di inaffidabilità. Uno stereotipo contro il quale si scontrò anche lei quando, incinta di Ginevra, si candidò sindaco di Roma e venne consigliata da un altro candidato, Bertolaso, di ritirarsi da una competizione per un ruolo inadatto ad una mamma. Un consiglio che lei giustamente rimandò al mittente, cui mai sarebbe venuto in mente di elargire lo stesso consiglio ad un neo-padre.
Non vi è dubbio che Meloni ha rotto un tabù che in Italia è stato e in parte è tuttora particolarmente resistente, facendo del suo essere donna e madre (e cristiana), ma senza legami formali con un uomo anche quando stava con Giambruno, la sua identità non solo privata, ma anche pubblica e politica. La retorica della maternità e del bisogno di un bambino/a di avere un padre e una madre non prevede, nell’iconografia meloniana, un rapporto di coppia formalmente riconosciuto e neppure stabile, con buona pace della costante evocazione della famiglia tradizionale.
Da qui a proporsi come modello di ruolo e a pensare che il proprio successo nel combinare maternità e posizione apicale e di grande responsabilità spazzi via non solo gli stereotipi, ma tutti i problemi con cui si affannano la maggior parte delle madri, il passo è un po’ troppo lungo. Nel corso degli svariati decenni della mia vita adulta di donna e studiosa, periodicamente è emersa qualche donna – in Italia per lo più imprenditrice – che si poneva, o veniva proposta come esempio della possibilità di “avere tutto”: bastava volerlo e perseguirlo testardamente. In politica, tralasciando gli inarrivabili, per cultura e presenza di servizi, Paesi nordici, Von der Leyen, di un’altra generazione rispetto a Meloni, ha avuto a lungo il ruolo di esempio: una carriera da medico, sei figli, poi una folgorante carriera politica ancora in corso.
Tutti questi esempi hanno tuttavia a che fare con posizioni di privilegio economico e sociale. Anche Meloni, nonostante la sua retorica fastidiosa da underdog, è diventata madre dopo essere stata ministra della gioventù, aver fatto carriera nel suo partito e averne fondato uno proprio: non proprio da una posizione di marginalità sociale e economica, di dipendenza da orari, mansioni, aspettative fissate da altri. Mi ha sempre colpito e un po’ infastidito, nella (auto)narrazione di questi casi, la sottovalutazione, quando non la censura, delle circostanze favorevoli in cui queste donne hanno potuto fare le loro scelte, certo con più difficoltà dei loro mariti, compagni, colleghi, ma incomparabili con quelle della maggioranza delle loro coetanee. Chi metteva a letto i bambini, preparava loro la merenda e la cena, li andava a prendere all’asilo e a scuola, ascoltava i loro piccoli o grandi problemi mentre la mamma lavorava? Sempre e solo i padri? Non credo proprio.
È bello che Meloni porti con sé Ginevra in qualche viaggio e dichiari di non perdersi una recita o un saggio scolastici. Sarebbe bello avere più padri, politici e non, che fanno lo stesso. Ma ci sono madri che fanno fatica a incrociare l’orario di apertura/chiusura del nido-asili-scuola con quello di entrata/uscita dal lavoro, tanto più se i figli sono più d’uno e con orari diversi. Che non possono contare sul padre, perché ha gli stessi problemi, o non c’è. Che non possono permettersi una baby sitter o non hanno nonni disponibili e vicini. Che non possono contare su un nido o una scuola a tempo pieno nel sistema pubblico, ma non possono permettersi le rette di quello privato. Ci sono donne che, al ritorno dal congedo di maternità, non trovano più il proprio lavoro, vengono demansionate e talvolta bullizzate. Ci sono madri (e padri) cui vengono cambiati gli orari di lavoro da un giorno all’altro, o cui viene spostata la sede di lavoro a chilometri di distanza, o che, per aver diritto all’Assegno di inclusione, devono accettare un’eventuale offerta di lavoro a 80 chilometri di distanza se hanno figli con età superiore ai tre anni. Ci sono madri (e padri) che non possono permettersi di portare i figli, non dico in Cina o negli Stati Uniti, ma in un modesto campeggio al mare o in montagna per qualche giorno. Così come ci sono donne, madri o meno, competenti nel proprio campo che continuano ad essere non viste o attivamente discriminate perché donne e madri potenziali o effettive. Anche questo governo, per altro, ne ha promosse poche.
Onore al merito per quanto Meloni è riuscita a fare nella e della propria vita. Ma essere un modello di ruolo è una responsabilità che va maneggiata con cura e con un po’ di modestia, tanto più quando si ha il potere di prendere decisioni che incidono sulla vita di persone le cui circostanze sono lontane anni luce dalle proprie.