L’intervista a Carlo Cottarelli
Luca Monticelli
«La crescita è la priorità per l’Italia, e il Pnrr, peraltro in ritardo per quanto riguarda la realizzazione degli investimenti, difficilmente potrà bastare. E manca una strategia di riduzione del debito pubblico, comprese le privatizzazioni». Carlo Cottarelli ragiona sulle prospettive economiche dell’Italia con l’occhio di chi, oltre a essere un economista, è stato “dentro il Palazzo”, come racconta nel suo ultimo libro.
Perché il governo non vuole presentare nel Def il quadro macroeconomico programmatico con gli obiettivi di finanza pubblica?
«Mi sembra davvero una scelta curiosa. È vero che l’Unione Europea deve ancora inviare le proprie raccomandazioni, ma non si capisce perché un Paese come l’Italia non dica quali siano le sue intenzioni».
Il ministro Giorgetti sostiene di voler aspettare le linee guida del nuovo Patto di Stabilità.
«Le nuove regole europee ormai sono chiare, sono state approvate, anche se manca ancora formalmente un ultimissimo passaggio. Perché allora attendere? Forse perché, come ha notato qualcuno, siccome dal quadro programmatico non verranno fuori dei numeri particolarmente buoni per mantenere le promesse di ulteriori tagli di tasse, allora si vogliono ritardare le brutte notizie a dopo le elezioni europee».
Il debito del 2024 sarà in risalita rispetto al 137,3% certificato dall’Istat nel 2023. Teme una risposta ostile da parte degli investitori?
«Non mi aspetto una reazione negativa dei mercati. La risalita del debito era nota visto il peso del Superbonus. Il problema è che non c’è una strategia per una riduzione del rapporto tra debito e Pil. L’anno scorso è andata bene perché la revisione dei dati del Pil dell’Istat ha abbassato un po’ il rapporto grazie all’incremento dell’inflazione».
Dobbiamo ringraziare l’inflazione allora?
«No, l’inflazione è una vera tassa che ha pesato più del previsto. L’aggiustamento è stato fatto con una tassa che erode il valore dei titoli di Stato, una sorta di patrimoniale».
La procedura di infrazione per deficit eccessivo annunciata sia dal ministro Giorgetti, sia dal commissario europeo Paolo Gentiloni, comporterà una manovra correttiva già quest’anno?
«Non credo perché quando si apre la procedura poi si inizia a discutere come intervenire nella seconda parte dell’anno, perciò l’eventuale aggiustamento riguarderà la legge di Bilancio per il 2025. Paradossalmente la procedura di infrazione per deficit eccessivo ci avvantaggia perché ci obbliga sì a ridurre di mezzo punto l’indebitamento strutturale, ma ci concede la possibilità di derogare all’impegno di tagliare subito il debito di un punto di Pil».
Come farà il governo a contrattare con Bruxelles l’extra deficit per finanziare la manovra se deve correggere i conti?
«Tra il 2023 e il 2024 il deficit strutturale avrà un crollo enorme perché il Superbonus e gli altri crediti edilizi sono stati scaricati sul 2023 e gli anni precedenti, quindi quest’anno la riduzione del deficit strutturale sarà forte. Immagino che il governo possa pensare di negoziare la flessibilità per il 2025 facendo leva su questo punto».
Come mai, nonostante tutti gli interventi, il Superbonus continua a incidere in modo così pesante sull’erario?
«Il ministro Giorgetti, fortunatamente, ha voluto mettere un freno al Superbonus ma poi non è riuscito in passato a tenere la linea del fronte: le sue proposte sono state annacquate con esenzioni di vario tipo o in Consiglio dei ministri o col passaggio parlamentare. Questo vale anche per il provvedimento di fine dicembre. Speriamo che l’ultimo decreto metta davvero fine alla stagione dei bonus edilizi».
Come giudica la strategia dell’esecutivo sulle privatizzazioni?
«Non so quale sia la strategia, c’è soltanto un obiettivo».
Fare cassa?
«Per fare cassa però bisogna avere un piano su che cosa vendere e non è chiaro come si arriva all’obiettivo di 20 miliardi in tre anni».
L’idea è cedere le quote di minoranza delle partecipate mantenendo il controllo.
«È uscita una nota dell’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università della Cattolica che dice proprio che non basta vendere le quote di minoranza per arrivare a 20 miliardi».
Qual è la priorità dell’Italia?
«La crescita. Il problema è che il Pnrr non mi sembra che per ora abbia portato quei cambiamenti che sarebbero necessari per rendere l’Italia un Paese dove si investe più facilmente. Sugli investimenti pubblici siamo indietro; per spingere quelli privati è stata fatta la riforma della giustizia, ma la semplificazione burocratica sarebbe la cosa fondamentale. Purtroppo siamo ancora molto lontani da quel che dovrebbe essere fatto. Sulla riforma della concorrenza facciamo un passo avanti e due indietro, quindi temo che il Pnrr non sia sufficiente per aumentare la crescita in via stabile».
La spesa sanitaria è un grande tema del dibattito politico, lei che cosa ne pensa?
«Adesso noi siamo al livello più basso di spesa sanitaria sul Pil dalla metà degli anni Duemila, al 6,3%».
E la spending review?
«È stato fatto poco, solo tagli dell’ordine di un miliardo, un miliardo e mezzo l’anno su mille miliardi di spesa pubblica».
Come si fa a modernizzare questo Paese? Da dove partire?
«Occorre prendere tutte le procedure e i permessi che ci sono in Italia, guardarli uno per uno e semplificarli».
Questo spingerebbe la crescita?
«Certo, renderebbe l’Italia un Paese in cui è più facile investire».
Anche la premier Giorgia Meloni lo dice spesso.
«Ne dice tante… Per fare una cosa così complicata come la riduzione della burocrazia è necessario diventi l’obiettivo numero uno di un governo. E invece non è l’obiettivo principale di questo governo così come non lo è stato dei precedenti».