Per affrontare l’emergenza sbarchi la premier prova a incassare anche il sostegno di Albania e Gran Bretagna. Vertice a Granada con Von der Leyen, Macron, Rutte ma senza Scholz e Sanchez
Emanuele Lauria
GRANADA — Un vertice fuori programma, che ha indispettito la presidenza spagnola. A Granada Giorgia Meloni prova a smarcarsi dall’emergenza immigrazione stringendo un patto con il premier britannico Rishi Sunak. Con lui firma stamattina anche un articolo sul Times: «Combattiamo insieme i trafficanti di uomini”.
Il format, in realtà, è più ampio, e comprende anche la partecipazione dei leader amici di altri Paesi, l’albanese Edi Rama e l’olandese Mark Rutte. Il criterio lo spiegano fonti di Chigi: mettere insieme due Stati dell’Ue e due che sono fuori dall’Unione. Due che devono affrontare l’impatto diretto degli sbarchi e due che sono alle prese con la migrazione secondaria. In realtà, Meloni tenta di allargare il fronte che non considera affatto chiusa la via del coinvolgimento della Tunisia nella soluzione della partita dei migranti. Si continua a lavorare per attuare l’accordo con Saied: è questa la posizione che trapela. Il memorandum non è morto, insomma. E non è un particolare secondario: l’incontro si svolge poche ore dopo una netta difesa da parte di Meloni del presidente tunisino che ha deciso di rifiutare i fondi Ue: «Credo che Saied, con cui ho un buon rapporto, abbia parlato innanzitutto alla sua opinione pubblica, quello che ha detto lo comprendo. La Tunisia – dice la premier – ha un problema che non è diverso dal nostro, c’è una immigrazione illegale anche da loro». E al vertice, poco dopo l’inizio, giungono anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente francese Emmanuel Macron. Ecco perché si parla di “patto dei sei” tra Italia, Gran Bretagna, Francia, Albania, Olanda e Commissione Ue. Macron sembra benedire il format, che comunque è aperto ad altri Paesi: si punta a mettere in campo, dice l’inquilino dell’Eliseo, «azioni comuni» per «prevenire i traffici illegali ma anche di lavorare con Paesi terzi d’origine e di transito». Se ne riparlerà alla prossima riunione della comunità politica europea, in programma nel Regno unito.
Ma intanto, la presenza attorno allo stesso tavolo dei tre protagonisti del Memorandum con Tunisi assume un significato rilevante, alla luce delle critiche che l’intesa ha ricevuto da più parti a Bruxelles, in particolare da Charles Michel e da Olaf Scholz. Mentre l’assenza degli unici due premier europei socialisti – il padrone di casa Sanchez e appunto il cancelliere tedesco – suggerisce l’ipotesi che sia nato un nucleo pronto a promuovere la linea dura.
Di certo, i riflessi dell’iniziativa di ieri si coglieranno oggi, nel bilaterale fra Meloni e Scholz. E i risultati del “patto dei sei” sono tutti da verificare: «Passeremo dalla diagnosi alle azioni concrete», è la promessa. Ma il pacchetto di interventi, per ora, si ferma a una maggiore collaborazione fra gli Stati nel passaggio di informazioni, a un ruolo rafforzato per Oim e Unhcr per l’assistenza ai migranti nei rimpatri. Fino, appunto, al sostegno ai Paesi nordafricani per la protezione delle frontiere. Piano in otto punti, la cui validità è da testare. Mentre le liti, sull’immigrazione, proseguono. E a Granada si tratta fino all’ultimo perché il consiglio europeo informale di oggi si concluda con un testo condiviso: Polonia e Ungheria, compagni di viaggio di Meloni nella destra europea, chiedono che le decisioni, in questa materia, vengano prese all’unanimità.