flavia amabile
«Buongiorno, sono una madre. Vorrei parlarvi di mia figlia».
Ore 9 del mattino, i computer accesi, i telefoni che squillano in continuazione e le voci di cinque operatrici di Differenza Donna, la ong che gestisce il 1522, che si accavallano. A centinaia chiamano ogni giorno da ogni angolo della penisola per raccontare storie unite dallo stesso filo rosso di violenza. Le loro richieste di aiuto finiscono in una piccola stanza dove l’Italia viene messa a nudo svelando l’orrore quotidiano di insulti, umiliazioni, ricatti che troppe donne sopportano in silenzio.
«Sono molto preoccupata», inizia a dire con un filo di voce la madre. Le domande di Chiara, l’operatrice, sono formulate con cura, la madre le affida la sua pena: «Mia figlia è molto cambiata. Da quando è fidanzata non frequenta più le amiche, sta troppo con lui. Quando provo a farle notare che non va bene, si chiude ancora di più. Ho paura, vorrei che lo lasciasse ma non so più come fare». Con delicatezza Chiara fa capire alla donna come continuare a parlare con la figlia. «Non la faccia sentire esclusa o non compresa. Provi ad ammettere anche che la sua ansia potrebbe essere eccessiva e le raccomandi di rivolgersi a qualcuno di esterno che possa valutare se è tutto normale nel loro rapporto». Le elenca i centri antiviolenza più vicini e le ripete di fare il possibile perché la figlia vada a raccontare quello che sta vivendo.
Dal femminicidio di Giulia Cecchettin in poi le telefonate sono diventate un’onda inarrestabile. A chiedere aiuto sono mogli, fidanzate, donne anziane, donne giovani e ormai anche madri preoccupate per le figlie. «Un tempo avevamo un picco intorno alla giornata del 25 novembre – spiega Arianna Gentili, la responsabile del 1522 – per lo spazio dedicato alla violenza contro le donne dai mass media. Dopo il 25 novembre si tornava ai numeri normali. La novità di quest’anno è che, invece, il numero di chiamate non è mai calato. Sono il triplo rispetto a due mesi fa». Alle dieci l’operatrice Paola viene contattata da una donna in lacrime. Ha lasciato Roma per seguire il fidanzato in un piccolo centro del Veneto. Da qualche tempo il fidanzato è geloso, la insulta e la tradisce. Lei finora ha sopportato ma due sere fa è andata a una cena di lavoro ed è rientrata a casa alle due. Lui, quando l’ha vista, le ha messo le mani sul collo e ha tentato di strangolarla. Dopo qualche secondo ha lasciato la presa: «Vedi a che punto mi fai arrivare? È tutta colpa tua». La donna piange mentre racconta di aver sopportato a lungo l’aumento di prepotenze e offese ma che le mani sul collo l’hanno terrorizzata. Ora il fidanzato è uscito di casa, lei è immobile su una sedia, incapace di muoversi. Le è venuto in mente il 1522 e ha chiamato. Paola le consiglia di andare al 118. «Non mi ha fatto delle lesioni», risponde la donna. Non ci sono soltanto le lesioni fisiche spiega Paola con dolcezza: «È importante, invece, che tu vada al pronto soccorso dove accerteranno il tuo stato di ansia». Una raccomandazione che le operatrici del 1522 ripetono di fronte a violenze verbali perché si tratta di una certificazione determinante per una futura denuncia per stalking. Ma la donna ancora non è convinta. «In fondo è colpa mia, gli ho anche chiesto scusa. Lui dice che da qualche tempo riesco sempre a trovare il modo per irritarlo, prima non era così. Forse dovrei cambiare». Paola ha seguito dei corsi di formazione per diventare operatrice, sa come rispondere anche a questo tipo di obiezione molto comune fra le donne vittime di maltrattamenti. «Gli uomini violenti si rivelano nel tempo. Non sei tu a dover cambiare, è lui che scarica su di te la sua aggressività». La telefonata si dilunga, la donna alla fine si convince, assicura che andrà al 118. Forse chiamerà anche un centro antiviolenza.
In totale sono in 16, tutte donne, le operatrici che rispondono al 1522. Si suddividono il lavoro in tre turni, dalle 8 alle 14, dalle 14 alle 20 e poi la lunga notte fino al mattino successivo per garantire un servizio 24 ore su 24. «Il momento di maggiore traffico però è durante il giorno quando mariti, compagni, padri sono fuori e le donne hanno maggiore libertà di parlare», spiega Arianna Gentili. Si può chiamare ma c’è anche chi preferisce comunicare in chat come la donna che intorno a mezzogiorno chiede l’intervento di un’operatrice. «Ciao, credo di aver bisogno di aiuto», scrive. «Che succede? Vuoi chiamarci?», risponde Alessia, l’operatrice. «Vorrei chiamare ma non mi sento molto bene», scrive la donna. «Una scusa che viene usata spesso quando ci sono altre persone in casa, la chat è più discreta, nessuno si accorge che si sta parlando con il 1522», spiega Arianna Gentili. «Raccontami», prosegue Alessia. «Mi ha fatto sentire pazza per tanto tempo. Mi deride, dice che sono debole e fragile», risponde la donna. «Ti ha mai picchiata?», chiede Alessia. La donna aspetta qualche secondo. «Stanotte mi ha strattonata ma forse esagero, non era mai capitato prima». Non è un’esagerazione, la rassicura Alessia che le consiglia di andare nel centro antiviolenza più vicino a lei .
Si spegne la chat per qualche secondo mentre i telefoni continuano a squillare a raffica. C’è la donna che si è incautamente riavvicinata al marito violento perché non può privarlo della figlia, quella che si è rivolta a un avvocato che però è amico del suo molestatore, quella che ha il coniuge separato che le ha tagliato il cavo della luce a casa e si è presentato sul posto di lavoro a farle una scenata. A fine giornata arriva anche la telefonata di una donna di oltre 70 anni che da mezzo secolo subisce la violenza del marito. Le figlie l’hanno convinta a separarsi ma lei esita, non vuole creare problemi a una di loro per il tipo di lavoro che svolge. «Non si preoccupi signora, sua figlia non avrà alcun problema. Vada avanti senza paura», risponde l’operatrice.