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Dopo anni bui, la città è rinata con un modello che sembrava includere tutti. L’Expo 2015 è stato il simbolo di questa rinascita: grattacieli, investimenti, eventi globali. Milano è tornata al centro, anche con le Olimpiadi in arrivo. Ma sotto la crescita si nascondeva il problema: il divario sociale è esploso.
I capitali esteri hanno trasformato la città, spingendo i prezzi delle case alle stelle. In dieci anni gli affitti sono saliti del 43%, i salari solo del 5%. Gli autisti, i poliziotti, gli insegnanti non riescono più a vivere a Milano. I quartieri popolari si sono svuotati o sono diventati vetrine di lusso. La classe media scompare, i ricchi dominano, i poveri vengono spinti lontano.
A tutto questo si è aggiunta l’inchiesta sull’urbanistica, che ha colpito l’assessore e il più grande costruttore. Le accuse parlano di favori e regole aggirate per favorire i grandi interessi. È la crisi di un modello che ha scelto la rendita e la competizione al posto della redistribuzione.
Non è solo corruzione: è una scelta politica. Milano, e con lei molte altre città italiane, hanno puntato tutto sulla crescita senza equità, privatizzando spazi e servizi. Ma senza redistribuire la ricchezza, senza garantire case accessibili, trasporti e servizi pubblici, le città diventano solo belle scatole vuote riservate ai ricchi. E chi resta, resiste a fatica.