L’anno in cui si è rotto il turismo
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26 Luglio 2024“Stanno scoprendo l’acqua calda”. Davanti a certi profitti, c’è da insospettirsi. Per questo le inchieste sul caporalato nel lusso non stupiscono Antonio De Matteis (CEO di Kiton)
Finalmente sembra giunta l’ora per scoprire cosa si cela in un settore, quello della moda e del lusso, fatto soprattutto di luci e lustrini. Posso anche dire per esperienza diretta che se questo fenomeno è così diffuso da anni senza che ci siano state azioni decisive di contrasto è perché troppo diffuso e comunque generatore di grandi flussi di denaro.
La Società Amundi, che detiene una partecipazione dello 0,6% – del valore di 2,2 miliardi di dollari, nei marchi come Louis Vuitton e Tiffany & Co., ha recentemente dichiarato di aver chiesto da anni a LVMH un miglioramento delle sue politiche salariali. “LVMH continua a latitare negli sforzi fondamentali di due diligence che non solo promuovono l’applicazione di uno stipendio dignitoso, ma aiutano anche ad affrontare i principali rischi per i diritti umani”.
I marchi di lusso hanno dei punti ciechi quando si tratta di “fornitori dei loro fornitori”, il che si traduce in “una conoscenza insufficiente su dove hanno sede e come sia controllato il modo in cui operano”, dichiarano altri esperti del settore.
L’Italia rappresenta dal 50% al 55% della produzione globale di abbigliamento e pelletteria di lusso, ha calcolato la società di consulenza Bain, con migliaia di piccoli produttori sparsi sul territorio che forniscono grandi marchi e consentono loro di sfoggiare la pregiata etichetta “Made in Italy”.
I modi in cui i marchi del lusso (tutti con rare eccezioni), aggirano la questione dei salari equi per i lavoratori della filiera sono molteplici:
1. frammentazione orizzontale della supply chain con laboratori piccoli e medie dimensioni per ridurne il peso contrattuale.
3. Frammentazione verticale attraverso fornitori dei fornitori multilivello, creando le condizioni per il fenomeno del “caporalato” di cui dicono non essere responsabili.
4. Produzioni dei capi campioni in Italia, delocalizzando però i prodotti venduti nei mercati locali. Il grosso delle vendite estere avviene con i prodotti copiati e fabbricati localmente per cui é sufficiente invocare “l’Italian Sound”.
5. Per stessa ammissione di LVMH esistono forme di collaborazione fra marchi rivali che impiegano gli stessi fornitori, ufficialmente per “coordinare gli sforzi volti a pagare ai lavoratori un salario dignitoso”. In pratica tali accordi fanno sì che i lavoratori della filiera dipendano da un “cartello” di aziende che controllano i prezzi della manodopera mantenendoli artificialmente più bassi che in regime di piena concorrenza e libero mercato.
Non è solo una questione di evasione di contributi e tasse. Qui è in gioco la dignità di diverse migliaia di lavoratori in Italia, senza contare quelli coinvolti all’estero e la concorrenza sleale che viene a crearsi fra le imprese.