MILANO — Il calo delle vendite del settore moda e lusso si ripercuote sul Made in Italy, che chiede misure straordinarie a sostegno della filiera. Del resto se anche i colossi del lusso per la prima volta da oltre vent’anni accusano una contrazione delle vendite, ecco che l’Italia, dove si produce circa l’80% di abbigliamento, maglieria, calzature, borse e accessori in pelle, non può che risentirne. Inoltre, chi dopo un primo semestre difficile – soprattutto legato alla frenata della Cina e alle tensioni geopolitiche – si aspettava un secondo semestre in recupero, si è già dovuto ricredere dopo i risultati di Lvmh e Ferragamo peggiori delle attese. Tuttavia, anche chi come Brunello Cucinelli è cresciuto nei primi nove mesi (con ricavi su del 12,4%, a 920 milioni) d’estate ha scalato marcia e stima un lieve rallentamento negli ultimi tre mesi dell’anno.
Se il problema per le grandiaziende che hanno internalizzato alcune produzioni è piccolo, per le Pmi, gli artigiani e le manifatture di nicchia è enorme. Non a caso il governo ha già approvato 4 settimane di cig straordinaria in deroga, a sostegno del settore moda, che nel primo semestre aveva accusato un brusco calo delle esportazioni e un ammanco che rischia di non essere recuperato da qui a fine anno. «Con una domanda volatile, i brand continueranno a monitorare gli stock e la pianificazione della produzione – osserva Mario Ortelli, managing partner della consulenza di lusso Ortelli&Co. – Da un lato ci saranno probabilmente minori volumi per la filiera produttiva, dall’altro i brand tenteranno di salvaguardare quei fornitori chiave, strategici per il loro successo».
Se poi alcune geografie come il Giappone vanno a gonfie vele, sia per l’effetto del cambio favorevole che attrae turisti sia per la ritrovata forza consumi interni, la crescita di Giappone, Corea del Sud e Thailandia non compensa il crollodelle vendite in Cina e dello shopping dei turisti cinesi in Europa. Stesso discorso per gli Usa, primo mercato di sbocco per i beni di alta gamma tricolore, dove il calo rallenta ma persiste il segno meno. Se i ricchi non rinunciano allo shopping di qualità, comunque si fanno più selettivi, mentre il consumatore “aspirazionale” rinvia semplicemente gli acquisti. Calano quindi i volumi di vendita e di prodotto, ma la qualità del Made in Italy non è in discussione. «I costi ritornano al centro del palcoscenico del lusso – spiega Luca Solca, guru del settore per Bernstein – Detto questo, con i problemi da poco evidenziati nellavicenda Dior e Armani, tagliare sul costo del venduto potrebbe essere un boomerang. Soprattutto in un contesto dove i prezzi sono aumentati di molto. Credo sia più saggio per le aziende del lusso concentrarsi sull’ottimizzazione delle spese amministrative e di vendita». Non a caso Chanel ha già fatto sapere che potrebbe dover ridurre la sua presenza in Cina.
«Guardando al 2025 credo che inizieremo l’anno in una forma molto migliore – ha detto ieri Gildo Zegna, presidente e ad dell’omonimo gruppo – anche se le prospettive rimangono incerte».