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23 Novembre 2023Chiudono i negozi di vicinato, ormai si vende solo vino. Calano le presenze di italiani e negli hotel
A.F.
MONTALCINO (SIENA) Da Montalcino a Siena per una ceretta o un mazzo di rose. Nel borgo del Brunello stanno per chiudere l’estetista e il fioraio del paese. Non vanno in ferie a fine stagione, riconsegnano la licenza e sono solo gli ultimi di una lunga lista di attività. Risalendo una delle vie principali da nord verso la Fortezza, si contano almeno cinque cartelli vendesi o affittasi in un fazzoletto di attività commerciali lungo poche centinaia di metri di strada.
Il vino non c’entra. Il Brunello, pilastro e fiore all’occhiello dell’economia ilcinese, è in ottima salute. Wine Spectator ha appena incoronato il Brunello di Argiano 2018 come miglior vino del mondo. Secondo i dati di Valoritalia aggiornati al 31 ottobre l’annata in commercio ha già collocato sul mercato l’85% del proprio potenziale. «Poco stock in cantina e un mercato che gira, a conferma che il segmento luxury nel nostro caso si dimostra anticiclico», ha commentato il presidente del Consorzio Fabrizio Bindocci. Il livello di giacenze, sempre secondo Valoritalia, è di ben «tre volte inferiore alla media italiana». L’annata 2019 che uscirà il primo gennaio è buonissima e le richieste hanno già superato i 2 milioni di fascette. C’è carenza di prodotto anche per il Rosso di Montalcino, sul quale si parla perfino di riaprire gli albi per piantarne più ettari. I numeri del turismo sembrano non meno interessanti. Nei primi 8 mesi del 2023 a Montalcino si sono contate 150mila presenze, +2% sul 2022, +10% di turisti stranieri che diventano il 20% se si contano gli americani. Ormai arrivano anche dall’Asia (+45%) e dall’Oceania (+145%). E allora dove è finito l’indotto del vino per Montalcino?
«Vivono tutti a Castel del Piano o a Buonconvento perché qui in paese gli affitti costano troppo e c’è poca disponibilità», confermano diverse cantine. «Non riusciamo a trovare parecchie figure professionali — lamenta Giampiero Bertolini, Ad di Biondi-Santi — come ad esempio i trattoristi». «Siamo in pochi a Montalcino — commenta Giovanna Neri, produttrice di Col di Lamo — e quindi è diventato impossibile trattenere piccole attività come l’estetista o il fioraio». Le botteghe che resistono vendono vino. Il macellaio ha gli scaffali con le bottiglie. Tra gli oggetti di un rigattiere spuntano vecchie bottiglie di Brunello. Come nelle Langhe si è andati verso la monocultura della vite oggi da tutti criticata, Montalcino sembra dirigersi verso la monoeconomia del vino. Tutti i produttori sono concordi nel dire che con la fine di Benvenuto Brunello, la kermesse che presenta le nuove annate, Montalcino va come in letargo fino a Pasqua. Non a caso tra le righe dei numeri sul turismo, si capisce che l’80% dei flussi è estivo, aumentano del 7% i soggiorni a partire da agriturismi, relais in cantina e B&B, ma calano le presenze in hotel e degli italiani. Se cioè da una parte Montalcino è diventata un «brand globale» come sottolinea il presidente del Consorzio del Brunello Fabrizio Bindocci di fronte a questi dati, dall’altra sembra trasparire una certa diffidenza degli italiani che preferiscono situazioni nella natura piuttosto che in un borgo che si sta impoverendo da un punto di vista sociale.
Sembra una crisi d’astinenza dopo un’overdose da turismo. Situazioni già viste a Firenze, Roma e Venezia. Angelo Gaja parlando del turismo nelle Langhe lo ha definito un «male necessario». E a Montalcino?
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