Il mondo semantico e rituale del Palio tiene insieme spazio e tempo, segnando il calendario senese e consacrando il tessuto della città: pietre e popoli vi si saldano, in una densità di testi, letterali e metaforici, che è difficile sospettare finché non la si conosca. Un autentico e complesso patrimonio culturale, materiale e immateriale, che ora la Repubblica italiana ha, per la prima volta, riconosciuto come tale, tutelandolo in attuazione del mandato costituzionale (articolo 9: “La Repubblica … tutela il patrimonio storico e artistico della nazione”). Dopo un lungo lavoro di un comitato scientifico, l’Istituto centrale per il patrimonio immateriale ha notificato al Comune e al Magistrato delle Contrade la pubblicazione dei diciassette decreti di dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante delle testimonianze materiali dell’espressione dell’identità culturale collettiva “Palio di Siena”. Con una procedura inclusiva, e innovativa, le comunità contradaiole hanno partecipato alla stesura del “vincolo”, scegliendo ciascuna un oggetto (bandiere o tamburi) da tutelare materialmente, in una rete che rendesse concretamente e simbolicamente tangibile la tutela del patrimonio-Palio, fatto di strade, chiese, musei, fontane, canti, riti, storie, cene, amori, odi, ricordi… Appare a tratti vertiginoso riuscire a tenere insieme, e a definire come patrimonio culturale, un simile, inafferrabile, palinsesto plurisecolare di “cose” e pensieri: ma è proprio questa la realizzazione della più alta idea di patrimonio, quella del “contesto”. Alla fine del Settecento, il francese Antoine Quatremère de Quincy spiegava ai suoi connazionali, e a tutta Europa, che “il vero museo di Roma si compone, è vero, di statue, di colossi, di templi, di obelischi, di colonne trionfali, di terme, di circhi, di anfiteatri, di archi di trionfo, di tombe, di stucchi, di affreschi, di bassorilievi, d’iscrizioni …: ma nondimeno è composto dai luoghi, dai siti, dalle montagne, dalle strade, dalle vie antiche, dalle rispettive posizioni delle città in rovina, dai rapporti geografici, dalle relazioni tra tutti gli oggetti, dai ricordi, dalle tradizioni locali, dagli usi ancora esistenti, dai paragoni e dai confronti che non si possono fare se non nel paese stesso”.
Ecco, è esattamente questo intreccio che si tutela, ora, a Siena: un contesto coeso, ancora vivo e visibilissimo. Il Comune ha giustamente sottolineato che “la ricerca ha fatto emergere, entro una comune cornice di senso e di pratiche, la pluralità dei punti di vista e la specificità di ciascuna realtà. I vincoli emessi non sono volti a una sorta di “congelamento” degli oggetti stessi, ma intendono preservarne e garantirne usi e significati correnti, valorizzando il loro legame con il patrimonio culturale immateriale del Palio di Siena, con la storia delle Contrade e con la vita delle persone che li hanno costruiti, cuciti, utilizzati, suonati, vissuti e, in qualche modo, messi in valore nel tempo, e continuano a farlo tuttora”. Se aveva ragione Carlo Levi, se “il primo dei caratteri che distinguono l’Italia è quello di essere il Paese dove si realizza, in modo più tipico e diffuso e permanente che altrove, la contemporaneità dei tempi”, allora in pochi luoghi come a Siena ciò è evidente. La circolarità della corsa del Palio suggerisce proprio questo: la saldatura tra il passato e il presente. È un volo, un giro di trottola nel quale ogni cosa è chiamata a convenire, e a dissolversi. Un sortilegio di fronte al quale Eugenio Montale esclamava: “E tu dimentica! Dimentica la morte”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/