Mossa Bce, nonostante Draghi lo spread torna a fare paura
TORNA L’AUSTERITÀ. Toccata quota 225. Cottarelli: potrebbe costarci 40 miliardi. Giornata convulsa sui mercati. Il ministro Franco balbetta: mossa attesa, ma dipende da che tipo di inflazione si vuole combattere
Messo in soffitta dagli eredi il suo bazooka, ora anche l’effetto Draghi sembra svanire. La svolta rigorista di giovedì della Bce crea uno scenario dove l’Italia sembra tornare in balia dei mercati e lo spread a galoppare. La lotta all’inflazione miete dunque la sua prima vittima nel paese guidato dall’ex presidente della Bce. Un paradosso che pochi si sarebbero aspettati anche solo pochi giorni fa.
LA FINE DEL QUANTITATIVE EASING – lo strumento che tramite l’acquisti di titoli del debito dei paesi in difficoltà Draghi dal 2015 ha usato per salvare l’Euro e i conti pubblici nostrani – coincide con il ritorno dei problemi che il «governo dei migliori» sembrava aver magicamente cancellato. In sole 24 ore l’aumento del differenziale fra i tassi di interesse dei titoli italiani e quelli tedeschi è tornato ad essere la parola più citata nei telegiornali: «Spread alle stelle». I 225 punti base di ieri sono niente a confronto con i 528 che raggiunsero Tremonti e Berlusconi nel 2009, ma tredici anni dopo le dinamiche sono simili a conferma che per i mercati l’Italia – Draghi o non Draghi – è considerata l’anello debole dell’Euro.
Il rendimento del decennale italiano è pari al 3,713%, un livello che non vedeva dal febbraio del 2014 e superiore all’impennata vista nel 2018, anno in cui il differenziale subì gli effetti dell’incertezza politica del nostro paese.
Sebbene la mossa di Lagarde di alzare i tassi – come fatto da mesi dai cugini della Fed – fosse largamente attesa e assai moderata – solo lo 0,25% – è stato l’annuncio dello stop quasi totale al Quantitative easing a produrre gli effetti peggiori. A fine 2021 sul Btp decennale il Mef pagava l’1,1% di rendimento, ieri 2,8% in più.