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7 Giugno 2022Direttiva su “retribuzioni eque” legate all’inflazione e raccomandazione sul reddito di cittadinanza Non sarà vincolante per l’Italia che però è uno dei sei Paesi dell’Unione senza regole sulla materia
STRASBURGO — Era ormai un tabù, almeno dal referendum del 1985. Ma in Europa da oggi è sfatato. Perché quello strumento è improvvisamente ricomparso. Nella direttiva sul salario minimo che il “Trilogo” (organismo del tutto informale che mette insieme Commissione, Consiglio e Parlamento Ue) ha approvato ieri sera si resuscita la “Scala mobile”. Nel testo, ovviamente, non si chiama così. Bensì “Automatic indexation”.
Certo il sistema autorizzato dall’Ue presenta dei limiti ed è accompagnato da restrizioni. E soprattutto è riferito solo al salario minimo e non a tutti gli stipendi. Solo al salario minimo proprio perché uno dei criteri fissati è il potere d’acquisto. Lasciare inalterata la capacità di sopravvivenza di chi percepisce la retribuzione minima. A voler inserire nel testo questa opzione – non è un obbligo ma una possibilità – è stato il Commissario lussemburghese al Lavoro, Nicolas Schmit, che viene dalle file del Pse.
Resta il fatto che in una fase in cui l’inflazione impazza e i tassi iniziano a essere più vicini a quelli degli anni ’80 che non a quelli del XXI secolo, il principio che connette prezzi e buste paga è messo nero su bianco in un atto vincolante dell’Unione europea.
La direttiva sarà operativa probabilmente da metà giugno. Dopo il via libera del “Trilogo”, questa settimana (o la prossima) il Parlamento europeo dovrebbe dare l’ultimo via libera. L’obiettivo è la ratifica da parte del Consiglio dei ministri Ue del Lavoro convocato per il 16 giugno in Lussemburgo. Si tratta di un atto che punta a introdurre in tutti i Paesi dell’Unione un salario che non scenda al di sotto di una soglia, della decenza e della sopravvivenza.
Ma c’è di più. Un filo invisibile ma piuttosto concreto lega questo provvedimento ad un altro che il Consiglio europeo – dietro suggerimentodella Commissione – adotterà tra settembre e ottobre prossimi. Si tratta di una Raccomandazione per il “reddito minimo”. In sostanza quello che in Italia adesso si chiama Reddito di cittadinanza ma che già a partire dal 2017 era contenuto nel cosiddetto Reddito di inclusione. Sostanzialmente l’Ue inviterà – perché la raccomandazione non è vincolante – a inserire nelle rispettive legislazioni una misura a favore di un sostegno universale. Rispettando il principio della “adeguatezza”.
Per il nostro Paese, in realtà, l’invito è già esaudito. Negi ultimi tre anni, semmai, la Commissione ha chiesto di modificare il provvedimento originario che veniva considerato «discriminatorio» nella parte che richiedeva un tempo minimo di residenza. Quella parte, però, è già stata modificata. Ma è comunque una spinta in quella direzione. Di certo, pensare di cancellarlo sarà più difficile. Inevitabilmente diventerà – anzi già lo è – insieme al ritorno della scala mobile, argomento della prossima campagna elettorale. Rischia, però, di essere un dibattito tutto interno al nostro Paese. Per l’Ue è invece un dato acquisito.
Quanto alla direttiva sul salario minimo e che è destinata a tutelare anche i lavoratori delle piattaforme digitali e i cosiddetti “rider”, bisogna tenere presente che solo in maniera indiretta toccherà la disciplina esistente in Italia. Per il nostro Paese ( insieme a Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia), non esiste un obbligo ad attuarla perché secondo l’Ue lo “stipendio minimo” è obbligatorio per quei Paesi che non hanno contrattazione collettiva o dove è scarsamente diffusa. I contratti collettivi di lavoro italiani coprono oltre l’80 per cento dei lavoratori e quindi la direttiva in questo caso non è vincolante. Certo, anche in questo ambito, si tratta di un principio che in qualche modo orienterà la disciplina giuslavorista. Non a caso – lungo quel filo invisivile – si stabilisce un nesso tra potere d’acquisto, produttività e busta-paga.
Per gli Stati “carenti” si prevede la necessità di imboccare una delle due strade possibili: salario minimo o ampliamento del ricorso alla contrattazione collettiva. Anzi, a questo principio viene associata la necessità di rafforzare i sindacati, i loro compiti nella negoziazione con le altre parti sociali e il loro ruolo di intermediazione.
Il salario minimo è già presente in diversi Stati sebbene con molte differenze: si passa dai 332 euro mensili della Bulgaria ai 2.257 del Lussemburgo. Il Commissario Schmit è convinto che il provvedimento non ostacolerà le assunzioni, anzi è certo del contrario. In Germania, in effetti, l’effetto è stato opposto. «Comunque – è stato il suo costante chiodo fisso – non possiamo ignorare che molti lavoratori stanno soffrendo per il caro-vita».