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Mps ha deciso di alzare il tiro e sfidare direttamente uno dei centri storici del potere finanziario italiano: Mediobanca. Lo fa con un’offerta pubblica di scambio che parte da una soglia minima del 35%, ma mira chiaramente al controllo. Il messaggio è semplice: cambiare gli equilibri. Ma dietro la freddezza dei numeri, c’è una mossa aggressiva e ben calcolata che non tutti sono disposti ad accettare senza reagire.
Alberto Nagel, alla guida di Mediobanca, ha capito da tempo che questa non è un’operazione amichevole. Non ha alzato la voce, ma ha piazzato le prime contromisure: ha preteso chiarezza da Mps sui reali benefici dell’offerta, ha lasciato trapelare dubbi sul valore dell’operazione e ha lasciato intendere che Piazzetta Cuccia non si farà dettare la linea senza lottare. Una strategia silenziosa ma efficace, basata su reputazione, alleanze solide e la fiducia di chi conta davvero nei salotti buoni della finanza italiana.
Dall’altra parte, Mps si presenta forte di una ritrovata solidità patrimoniale e di un management ambizioso. Lovaglio, il suo amministratore delegato, vuole riscrivere la mappa del potere bancario italiano. Ha già dalla sua parte Delfin e Caltagirone, soci importanti di Mediobanca, pronti a sostenere l’offerta. A Siena non si nasconde più l’obiettivo: salire al 50%, magari fino al 66,7%, e assumere il controllo. E se serve, rilanciare anche in contanti. Una scalata a tutti gli effetti, mascherata da progetto industriale.
Il mercato osserva. Lo sconto tra i due titoli è stabile, segno che l’operazione non è scontata. Gli hedge fund si sono già posizionati. Gli azionisti storici tacciono, ma soppesano. Mediobanca rischia di diventare un campo di battaglia, con un nuovo socio ingombrante pronto a sedersi in assemblea per dettare la linea. Per ora non si parla di controfferte, ma il fronte di chi vuole mantenere l’autonomia è tutt’altro che rassegnato. Le grandi manovre sono solo all’inizio. E questa non è una normale operazione finanziaria: è una guerra di potere.