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Cresciuta in un ambiente tra i più stimolanti della nostra storia recente, Natalia Ginzburg è considerata una delle più importanti scrittrici contemporanee. I suoi primi libri, costruiti attorno ai grandi temi letterari, dimostrano il suo talento puro nel misurarsi con i classici.
Per la presenza a Torino di molte egregie case editrici – la Slavia, che introdusse in Italia i grandi russi e più tardi con una collana “occidentale” tradusse anche grandi inglesi, la Frassinelli che ci propose prestissimo Kafka e Faulkner, ovviamente la Einaudi, la Loescher che lavorò per le scuole (ma mi fece amare le avventure napoleoniche del duo Erckmann-Chatrian), la Utet, la Paravia, la Zanichelli e altre ancora – vi sono state, mi pare, più donne scrittrici lì che altrove, e molte traduttrici di grande valore, tra le quali perfino Ada Gobetti, che negli anni della dittatura dopo la morte di Piero Gobetti, insegnava in un liceo e tradusse in particolare i classici inglesi per più editori.
Grande scrittrice, cresciuta e diventata tale a Torino, è stata Natalia Ginzburg (nata Levi), moglie e poi vedova di Leone, un grande antifascista morto nel carcere di Regina Coeli in seguito alle torture subite, che fu un eccelso traduttore e critico (ancora per la Slavia: Tolstoj e Gogol, Turgenev e Puskin…). Natalia Ginzburg si cimentò invece nella traduzione di Proust.
“La Ginzburg fu, ricordo, molto amica della Morante, e quando lesse ‘La Storia’ fu la prima a dichiararlo un capolavoro e a promuovere quel romanzo, che fu subito inviso agli avanguardisti e ai marx-puristi, ma amato davvero da un intero popolo”.
Sposò più tardi l’anglista Gabriele Baldini, e i suoi figli, avuti con Leone, sono uno storico (Carlo), un economista (Andrea) e una psicologa di grande spessore (Alessandra). Di questa stirpe sappiamo e capiamo qualcosa anche grazie al libro forse più venduto di Natalia, quel Lessico famigliare pur sempre einaudiano che vinse lo Strega nel 1963. In tempi di “miracolo economico”, evocava un mondo di forti personaggi della sinistra antifascista più laica, e fu quasi paradossale vedere come anche coloro che non ne avevano fatto parte si appropriassero per un tempo di quella storia (come per esempio quelli che si dicevano olivettiani, quando erano stati sino allora agnelliani).
Dopo la morte di Leone, dopo essersi rifugiata in Abruzzo, Natalia divenne, col suo amico Pavese, una colonna della nuova Einaudi, e una delle figure di spicco di un mondo letterario al femminile e antifascista. C’era una storia italiana di grandi scrittrici, la Deledda che vinse il Nobel, la grande Serao che lo avrebbe meritato altrettanto e che fu di modello per l’incontro successivo, in molte scrittrici, di letteratura e giornalismo. E ricordo tra le sue contemporanee figure come Alba De Céspedes, che inventò e diresse il miglior mensile del dopoguerra, «Mercurio», come Anna Banti, come Fausta Cialente, come Maria Bellonci, come Maria Giacobbe. E ovviamente le più grandi di tutte – e forse anche di tutti – Elsa Morante e Anna Maria Ortese…
La Ginzburg fu, ricordo, molto amica della Morante, e quando lesse La Storia fu la prima a dichiararlo un capolavoro e a promuovere quel romanzo, che fu subito inviso agli avanguardisti e ai marx-puristi, ma amato davvero da un intero popolo (un caso quasi unico, dopo I promessi sposi – ed è peraltro divertente ricordare che proprio la Ginzburg dedicò una delle sue fatiche più amate a La famiglia Manzoni: l’altra faccia della medaglia).
Col tempo, e grazie al Lessico e ad alcune battaglie civili (per esempio sull’adozione, ma qui le sue opinioni ci sembrarono meno avanzate di quelle di un’altra grande piemontese, Bianca Guidetti Serra), la Ginzburg diventò un esempio non delle Piccole virtù, che pure meritoriamente cantò, ma di un buon senso solidamente “piemontese”. La sua prima attività diventò presto quella di scrittrice, la sua più forte vocazione, più attenta ai contenuti che allo stile – un’attività regolata che le ha permesso di darci tanti romanzi importanti, e anche qualche commedia.
“Cronache famigliari, dove la vita scorre senza molti intoppi che quelli più ovvi, il lavoro, la malattia e la morte, e le passioni più comuni. L’umano più umano, ma anche, si può dire, il più borghese”.
Io sono particolarmente affezionato alle prime opere narrative della Ginzburg, che lei stessa volle riunire nel 1964 nel volume einaudiano intitolato semplicemente Cinque romanzi brevi. Conteneva La strada che va in città, È stato così, Valentino, Sagittario, Le voci della sera. È Valentino quello che prediligo. Storie semplici, personaggi comuni, secondo una grande tradizione francese e cechoviana. E se ben ricordo ella citava spesso, insieme a Cechov e ai russi, scrittori come Flaubert e come Maupassant, il Maupassant geniale e modernissimo di Una vita. Cronache famigliari, dove la vita scorre senza molti intoppi che quelli più ovvi, il lavoro, la malattia e la morte, e le passioni più comuni. L’umano più umano, ma anche, si può dire, il più borghese.
Mi è capitato di scontrarmi con amiche letterate che considerano la Ginzburg più importante della Morante e della Ortese perché la Ginzburg è una narratrice pura, mentre le altre sono, infine, secondo loro, più filosofe che narratrici. Una strana convinzione, che è tuttavia alla base della vastissima produzione letteraria femminile di oggi: e si vorrebbe davvero incontrarne qualcuna che ha da dire ai lettori, attraverso l’artifizio del racconto e del romanzo, qualcosa che ci costringa a guardarci più dentro e a capire meglio i dilemmi di un’epoca che molti considerano ormai pre-finale. La letteratura non può fare a meno della sociologia, ma neanche della filosofia… Si può amare molto una scrittrice come Natalia Ginzburg ma amare anche di più, per la loro forte provocazione filosofica e perfino religiosa, le sue due amiche e in qualche modo rivali.
Goffredo Fofi
Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).