il reportage
Kyiv
La testa di una statuina da quattro soldi, frammenti di souvenir sovietici che furoreggiavano nei negozi ucraini prima dell’invasione, stoviglie, forchette, minuscole scaglie di missili, grandi come briciole di pane. Tutti ben ordinati, in fila, come pezzi di lego disposti su un tappeto di bambini. Su tutti, campeggia una enorme piantina di quelle che si appendono nelle aule scolastiche, l’area di Kyiv e della regione intorno è un buco quadrato ritagliato con certosina precisione esattamente nel mezzo. A sparire dalla mappa, resecato dalla forbice di militare forse siberiano, chissà, i confini della città metropolitana. Come a dire: «questa è roba nostra, se non possiamo prendercela nella realtà almeno la portiamo via disegnata».
Nello studio di Nikita Kadan, forse il più importante artista contemporaneo ucraino, non visitiamo nuove opere o progetti di nuove opere: quasi tutto lo spazio è occupato da quelli che sembrano detriti, scarti, reliquie di una vita appena passata oppure semplice spazzatura. «Li abbiamo raccolti nella scuola elementare di Irpin, uno dei sobborghi devastati nelle prime settimane di guerra, dove i soldati russi della prima ondata avevano stabilito il quartier generale. Non sono belli, non sono soltanto veri. Sono prove ma non sono soltanto prove. C’è una forza intrinseca in ognuno di questi oggetti, ma il loro significato pieno si può cogliere solo guardandoli con gli occhi di un giudice, di un investigatore, di un pubblico ministero. Per questo le chiamo “sculture forensi”».
Nei giorni successivi all’emissione del mandato di cattura per Vladimir Putin, questi artefatti umani e disumani assumono un senso che mette in circolo l’etica, l’estetica, la Storia e molto altro.
Kadan ha usato questa espressione per la sua prima mostra personale, significativamente intitolata “Skin & Shell”, inaugurata alla Lewben Art Foundation, a Vilnius, Lituania, il 23 marzo, e curata da Just? Kostikovait?.
Nella mostra Kadan – che peraltro è presente nella bellissima collettiva “Artists in a time of War” al Castello di Rivoli voluta e pensata con passione da Carolyn Christov-Bakargiev, “l’amica geniale” di alcuni tra i più importanti protagonisti della contemporaneità – ha ricostruito un rifugio simile a quelli più o meno improvvisati dove milioni di ucraini hanno trovato riparo durante i (continui) allarmi aerei: nell’installazione, l’ambiente artificiale si fonde con l’ambiente vivente e lo forma come un organismo vivente che respira, con i suoi nuovi organi, pelle e guscio ricostruiti. Per restituire al visitatore il senso di precarietà, ma anche di forza, proprio di questi luoghi essenziali, necessari, ma anche detestati e oppressivi, Kadan ha scelto di usare materiali realmente trovati nei dintorni di edifici sventrati da esplosioni, o luoghi devastati dalla barbarie russa, o in qualsiasi altro elemento di paesaggio dove la prova del passaggio di violenza e distruzione fosse lì, per terra, pronto a esser raccolto, prima di esser buttato via.
Il termine “scultura forense” viene utilizzato da anni negli Stati Uniti per indicare la collaborazione tra chi pratica la scultura come arte e chi investiga su crimini irrisolti o particolarmente violenti nei quali i corpi umani sono irriconoscibili, vuoi per l’intensità delle fiamme, vuoi perché sono ormai trascorsi anni o decenni. Con cadenza annuale la New York Academy of Art organizza un laboratorio chiamato appunto “Forensic Sculpture workshop”, nel quale insieme agli specialisti provenienti dall’Ufficio del medico legale della città di New York, gli studenti d’arte utilizzano i teschi di veri e propri “casi irrisolti” per ricreare i volti delle vittime, nella speranza di identificare persone sconosciute. In generale lo “scultore forense” è un vero e proprio mestiere che permette agli inquirenti, talvolta all’opinione pubblica, o agli studiosi, di avvicinarsi il più possibile alla realtà materiale di elementi fisici di rilievo penale o storico che purtroppo sono corrosi dal tempo o dalla brutalità delle circostanze.
Nel caso ucraino, e nell’attività di Kadan e dei suoi sodali collaboratori, il termine assume un’importanza e una scala assolute, quasi metafisiche, perché l’obiettivo primario non è tanto ricostruire informazioni ma costruire un’esperienza intellettuale emotiva e sensibile che abbia anche la valenza di “prova indiziaria” da mettere nell’elenco delle attività legate ai crimini di guerra. Nella teoria dell’arte del Ventesimo secolo la funzione dell’objet trouvé è fondamentale, da Duchamp in avanti, individuando in qualsiasi oggetto scovato in ambiti naturali o culturali, ed estratto come monade sciolta dai vincoli dell’ambiente cui apparteneva in origine, un senso che va oltre la propria funzione.
Nello studio di Kadan, mentre osservo questi piccoli e grandi manufatti disposti sotto i nostri piedi, le sirene antiaeree continuano a ululare, ma nessuno si muove, come ormai spesso succede, perché non si può vivere nascondendosi e scappando senza sosta, bisogna prendersi dei rischi calcolati. Frammenti di metallo carbonizzati, forchette aggredite da polvere e cemento, strane conformazioni di materia in apparenza misteriosa, simili a sassi o minerali. Ma niente, nel misto di paura e concentrazione che è la vita quotidiana in Ucraina da 400 giorni a questa parte, batte l’impressione estrema della grande carta geografica della scuola elementare di Irpin. La guardo e riguardo ancora, mentre si srotola nelle mani di Kadan: è enorme, incorpora una parte ampia del territorio del Paese, e sembra ancora più ampia la dimensione di quel quadrato mancante. Nella psiche dei soldati russi spediti da chissà dove il cuore della conquista era da portare a casa a ogni costo, anche se ridotto a una mappa, a un frammento di un concetto (perché ogni mappa è il concetto di uno spazio reale). La chiave di questo conflitto risuona nella geometria vuota del ritaglio con la stessa potenza del suono bitonale che invade la città e le nostre orecchie. In un tribunale, un giorno, la spiegazione dell’orrore passerà forse anche da questa scultura a due dimensioni. La terza dimensione è un buco.