il saggio
Massimo Recalcati
Di fronte al famoso rapporto di Franco Fornari al XXV Congresso degli Psicoanalisti di lingua romanza tenutosi a Milano nella primavera del 1964, André Green, uno dei più autorevoli membri dell’Ipa (International Psychoanalytical Association), non esitò a definirlo come il più importante contributo di psicoanalisi applicata alla dimensione sociale dopo gli scritti di Freud. Il libro che qui presentiamo riporta quel rapporto in una forma ampliata, rivista e corretta dal suo autore. Si tratta di un’opera che vide per la prima volta la luce nel 1966, in piena Guerra Fredda. Ma allora, come oggi, il problema della guerra e della minaccia atomica era al centro delle preoccupazioni collettive. Non a caso l’ultimo capitolo di questo libro è espressamente dedicato a interrogare la dimensione atomica della guerra nella quale si trovava già in quegli anni il nostro pianeta.
Ripubblichiamo oggi questo straordinario lavoro di uno tra gli psicoanalisti italiani che nel secolo scorso si è distinto per rigore ed estrema originalità di pensiero. La lettura della vita affettiva originaria del bambino, l’invenzione della teoria coinemica e quella dei codici affettivi, la rilettura della lezione freudiana, l’interesse per la vita inconscia delle istituzioni, l’indagine pionieristica sulla lesione oncologica sono alcuni tra i capitoli fondamentali della sua ricerca. L’attuale contesto geopolitico, la tragedia della guerra scatenata dall’aggressione di Putin contro l’Ucraina e la minaccia di una sua escalation atomica rendono però, tra tutti i suoi numerosi testi, Psicoanalisi della guerra di una inquietante attualità. Non solo per la congiuntura storica che stiamo vivendo, ma per la notevole importanza che questo testo riveste nella psicoanalisi contemporanea.
Lo psicoanalista esce dal suo «splendido isolamento», abbandona l’uso strettamente clinico della sua concettualizzazione impegnandosi a comprendere uno dei fenomeni più perturbanti della nostra vita collettiva com’è quello della guerra. È un movimento di apertura della psicoanalisi al sociale che implica l’idea che la vita psichica sia costitutivamente una vita plurale. Lo sfondo della riflessione fornariana è quello delineato da Freud in Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, testo scritto all’indomani dello scoppio della Prima guerra mondiale. In queste pagine il padre della psicoanalisi ricorda che la storia dell’umanità coincide con la storia delle sue numerose guerre, che noi tutti siamo dominati dalla spinta aggressiva a distruggere il nostro simile come sede di una alterità irriducibile e, come tale, perturbatrice dell’ordine interno del nostro apparato psichico, che questa spinta aggressiva appartiene alla forma umana della vita, che noi tutti non siamo altro che una tremenda «masnada di assassini»: «La storia primordiale dell’umanità è piena di assassinii. Ancor oggi quella che i nostri figli imparano a scuola come storia universale non è altro che una lunga serie di uccisioni tra i popoli». Esiste infatti una tendenza criminogena dell’inconscio che solo il programma della Civiltà può arginare. Mentre, infatti, il Fornari della piena maturità insisterà nel valorizzare l’inconscio come facoltà di significazione e come funzione normativa, in quest’opera la sua radice kleiniana lo porta a indagare la dimensione più opaca e sulfurea dell’inconscio.
Lo scoppio di una guerra non implica – come, del resto, ogni ricorso alla violenza come «via breve» per raggiungere i propri obbiettivi – una regressione della vita umana alla vita animale, una sua de-umanizzazione regressiva, ma il dispiegamento della dimensione strutturalmente «immorale», come direbbe Freud, delle istanze pulsionali che provengono dall’inconscio. Sicché la guerra realizza direttamente e crudelmente quello che nei nostri sogni appare solo filtrato dalle immagini: la spinta dell’uomo a ignorare la Legge, a fare prevalere le sue esigenze più immediate senza tenere in alcuna considerazione l’esistenza degli altri, la tentazione alla sopraffazione e all’asservimento dell’altro.
Il fatto che l’odio venga prima dell’amore, che esso sia più antico e originario dell’amore – come Freud ripete in più occasioni –, rivela, per un verso, l’attitudine conservatrice dell’apparato psichico. È più importante la protezione degli stimoli che non la loro recezione. Tuttavia, il passo freudiano più scabroso non consiste tanto nel mostrare che l’aggressività sia una componente primaria della vita pulsionale, ma nel rivelare che esiste una pulsione «più pulsionale» («Triebhafter») che sospinge la vita in direzione della propria autodistruzione. È ciò che Freud definisce, a partire da Al di là del principio di piacere, «pulsione di morte» («Todestrieb»). Il lavoro di Fornari – nella vocazione kleiniana di fondo che caratterizza la sua fase precoinemica – non trascura affatto questa elaborazione che tanto sconcerto provocò negli ambienti psicoanalitici, ma la interpreta originalmente. Si tratta della presenza di una sorta di «Terrificante Interno» – di un oggetto cattivo, di un oggetto kakon nel linguaggio kleiniano – che provoca nel soggetto continue angosce persecutorie. Per questo Fornari può scrivere che «nel nostro inconscio la guerra è endemica. Ognuno porta al di dentro di sé uccisioni silenziose e nascoste».
Questo significa che l’emergenza dell’altro come nemico non dipende tanto dalla pulsione aggressiva come difesa autoconservativa da quella che l’altro rivolge verso di noi, ma da una angoscia più profonda che proviene dall’interno del soggetto, dai suoi fantasmi più originari. Uno degli esempi proposti è quello della cosiddetta «angoscia dell’estraneo» che secondo René Spitz affligge il bambino intorno all’ottavo mese di vita. Qui l’estraneo viene vissuto come una presenza cattiva senza che abbia mai fatto nulla di realmente ostile nei confronti del bambino. In gioco non è l’angoscia di fronte a una minaccia esterna. Piuttosto l’assenza della madre – il lutto per la sua irreperibilità – provoca nel bambino l’emergere di un oggetto cattivo interno (il «Terrificante Interno», come lo chiama Fornari) che deve essere esteriorizzato sulla figura di un altro vissuto paranoicamente come nemico. Si tratta in sostanza dello stesso processo psicotico che ritroviamo all’origine del fenomeno collettivo della guerra.
La tesi centrale di questo libro è, infatti, che la guerra sia l’elaborazione solo paranoica del lutto. Con questa formulazione egli intende isolare il «meccanismo nucleare della psicologia della guerra». Di cosa si tratta? Perché possiamo porre all’origine della guerra il rifiuto dell’elaborazione simbolica del lutto, o, come scrive Fornari, il suo trattamento paranoico? Si tratta di una difesa dalle angosce psicotiche depressive e persecutorie che accompagnano il nostro rapporto interno con il Terrificante.