La manovra c’è ma i conti non tornano: due terzi delle coperture in deficit
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17 Ottobre 2023Il commento
di Beppe Severgnini
«Scandalo calcio scommesse» è un’espressione che sa di muffa. Ci siamo già passati, abbiamo aperto e richiuso quei cassetti, speravamo di non dover sentire più quell’odore.
E invece, rieccoci. Sandro Tonali, Nicolò Fagioli, Nicolò Zaniolo, in modo diverso e a vario titolo, sono accusati di aver scommesso su piattaforme illegali, sebbene il Codice della Giustizia Sportiva (art. 24) vieti le scommesse ai tesserati. Tutto lascia credere che altri nomi seguiranno. Gioventù, energia, successo, denaro, amore del pubblico: perché ragazzi che hanno così tanto rischiano di buttare tutto? La risposta forse è più semplice di quanto immaginiamo: perché nella loro vita c’è un vuoto. I soldi e la fama non lo riempiono. Mi è capitato più volte di parlare dei nuovi campioni con vecchi campioni e dirigenti sportivi che stimo. Il racconto — l’ho ripetuto anche al Festival dello Sport di Trento — parte sempre dallo stesso punto: ragazzi molto giovani, molto ricchi, molto soli. «Finiscono l’allenamento e si buttano sul telefono. In viaggio, hanno le cuffie in testa. Ognuno nel suo mondo, in cui per noi è difficile entrare», mi diceva recentemente un allenatore di serie A. Lo smartphone è un pozzo scintillante e senza fondo: ci sono i social, gli amici, le ragazze, i commenti sportivi; anche le app per le scommesse, purtroppo. Pensate ai calciatori che hanno avuto carriere e vite felici, come Javier Zanetti. Dietro c’è una famiglia solida, un ambiente coinvolgente (gli argentini a Milano, la fondazione Pupi). Se scavate nella vita dei campioni finiti fuori strada — scommesse, guai giudiziari, investimenti sbagliati — la solitudine è un comun denominatore. C’era un attaccante dell’Inter che veniva spinto dai cosiddetti amici a comprare auto costose; poi gli dicevano che c’era di meglio, e gliele ricompravano per pochi soldi. I calciatori sono come il miele per le mosche: occorre qualcuno che le scacci. Un procuratore che non badi solo ai soldi; un allenatore paterno; una dirigenza attenta; una ragazza sensata; amici veri, fuori e dentro la squadra. I compagni di squadra di Fagioli, Tonali, Zaniolo non sapevano; o, se sapevano, non sono intervenuti. Soli anche loro, forse. A questa condizione contribuiscono tutti. Le società, che hanno isolato le squadre dai media (un tempo i giornalisti entravano negli spogliatoi!). I tifosi, che hanno trasformato l’affetto in idolatria, facendo scattare nei giocatori meccanismi difensivi. I genitori, spesso più attenti al conto corrente che alla salute mentale del campione in famiglia. I calciatori non sono burattini, come Pinocchio. Ma quando si rimane soli, il Gatto e la Volpe arrivano sempre.