Il suo discorso, circa un’ora, è da comizio elettorale. Tutto anti-Europa: un “gigante burocratico”, “invasivo”, “intriso di ideologia” la cui “fiducia da parte dei cittadini cala sempre di più”, attacca la premier. Matteo Salvini, al suo fianco, applaude. Il risentimento è evidente. La premier non ci sta a passare per quella che è finita nell’angolo. Tant’è vero che lo dice esplicitamente. Spiega che c’è una sorta di conventio ad excludendum nei confronti del “terzo gruppo” al Parlamento Europeo (il suo, dei Conservatori che però ieri ha rimandato la riunione fondativa perché i polacchi del Pis avrebbero voluto una nomina più pesante internamente) in cui la “logica dei caminetti prevale su quella del consenso: questa è una visione oligarchica della democrazia”. Si lascia andare a qualche scaramuccia con i parlamentari di opposizione (soprattutto la dem Marianna Madia) e nel pomeriggio, nella replica al Senato, ribadisce che “una maggioranza fragile impone delle scelte”. Un messaggio a von der Leyen: se non hai i voti, devi passare da me.
Se Salvini festeggia, Antonio Tajani un po’ meno. Il vicepremier forzista, fuori dall’aula, spiega che “è stato un errore il pacchetto di nomine pre-confezionate e non si può tenere fuori i Conservatori”. Ma, aggiunge Tajani, la premier non potrà “non votare von der Leyen visto che il Ppe è al governo con lei”. I ministri meloniani in realtà vedono maggiori spiragli di trattativa. Raffaele Fitto vede già un posto da commissario: “Il cimitero è pieno di persone insostituibili…” replica a chi gli chiede se andrà presto a Bruxelles. Giulio Tremonti in Transatlantico ironizza sul suo nemico: “Torna l’ipotesi Draghi? Speriamo di no…”. La linea del governo la dà il sottosegretario Alfredo Mantovano: “La trattativa non è chiusa altrimenti non ci sarebbe il Consiglio di domani (oggi, ndr) – dice alla buvette – non sottovaluterei il ruolo che ha la premier, unica ad aver vinto le elezioni: è pragmatica”. Se al pranzo al Quirinale è arrivata una dichiarazione che suona come assist del presidente della Repubblica Mattarella secondo cui “in Ue non si può prescindere dall’Italia”, oggi Meloni si presenterà al Consiglio Europeo con l’idea di partenza di astenersi. Sono tre i Paesi che non hanno ancora dato assenso sulle nomine: Italia, Ungheria e Slovacchia. La premier sta trattando: ieri ha avuto un giro di telefonate con i principali premier stranieri, tra cui von der Leyen e Olaf Scholz. Astenersi questa sera in Consiglio significherebbe tenere l’Italia ai margini delle trattative e aver ottenuto poco come commissario. Anche se, spiegano fonti italiane, ci sarebbe il tempo fino alla plenaria del 18 luglio per ricucire e trovare i voti per von der Leyen. La trattativa si gioca sul ruolo di Fitto, che avrà il Bilancio: la premier chiede una vicepresidenza che sia esecutiva, cioè che sia il vero braccio destro di von der Leyen. Anche sulla delega ancora non c’è accordo: Meloni vuole Pnrr e fondi di Coesione. L’altra ipotesi sarebbe la Concorrenza (molto prestigiosa) o il Commercio. Un’apertura di von der Leyen è arrivata con la lettera ai capi di governo battendo molto sul tema dei migranti.