Israel war with Hamas escalates; death toll for both sides tops 1,100
9 Ottobre 2023ADESSO IL MONDO CHE CONOSCIAMO È DESTINATO ALLA DISSOLUZIONE
9 Ottobre 2023
di Paolo Giordano
È questione di ore, poi, passato il tempo minimo di rispetto per un’altra mattina che ha già cambiato il mondo, si leverà compatta la coltre dei «sì, però». Sì, però Israele. Sì, però i confini. Sì, però la sproporzione, gli insediamenti, il 2008 e il 2012. Un po’ perché la geopolitica è diventata il nostro tranquillante, un modo per distanziarci dalla violenza, astraendola.
M a soprattutto perché i reflussi ideologici avranno infine la meglio sulla cautela, come sempre, verranno a intorbidare le acque dell’attualità e con il passare dei giorni ogni evoluzione del conflitto sembrerà più complicata da discernere. È successo dopo l’invasione dell’Ucraina della quale nessuno si occupava fino a un attimo prima, figurarsi su una crisi che polarizza il mondo da settant’anni. Perciò, assurdamente, sono proprio queste ore di confusione e shock quelle in cui possiamo avere una visione più lucida di quanto sta accadendo, le ore in cui cristallizzare dentro di noi una posizione personale che ci serva da ormeggio nell’infinito dibattito che seguirà. È uno strano paradosso della nostra epoca: per valutare meglio un evento non conviene più aspettare troppo, conviene quasi, al contrario, affrettarsi e perfino decontestualizzarlo. Ciò che è accaduto sabato mattina, decontestualizzato, riportato al fatto singolo, è un attacco terroristico che ha rovesciato violenza e morte indiscriminate su una popolazione civile. Un attacco con un livello di sofisticazione «inusuale» per Hamas, come ha scritto il New York Times, coordinato e con un’adeguata copertura di missili, ma pur sempre un attacco terroristico, quindi per definizione eccedente a qualsiasi possibilità di ridimensionamento, storico o geopolitico che sia. Violenza scriteriata, esecuzioni, crudeltà e sadismo. Le incursioni casa per casa risvegliano la memoria recente di quelle a nord di Kiev, a Izjum e Kharkiv, così recenti che queste nuove faticano a penetrare nella barriera di freddezza che ci siamo costruiti nel frattempo. Ma le uccisioni sommarie delle ragazze e dei ragazzi al festival di Reim, le persone in fuga o nascoste fra gli alberi e le invocazioni ad Allah, ci riportano ben più indietro, alla mattanza del Bataclan e alla caccia all’uomo fanatica e solitaria di Breivik a Oslo. Scene simili tra loro eppure ognuna con una sua connotazione specifica, delle quali serbavamo un ricordo sottocutaneo, come se fossero ormai eventualità remote, e di cui il sabato mattina di Israele ha compiuto una sintesi macabra.
Negli stessi istanti in cui il «diluvio» fondamentalista si abbatteva su cittadine, villaggi, insediamenti e su una festa di ventenni a pochi chilometri dal confine, un altro diluvio fatto di immagini si riversava sui nostri telefoni, da X in particolare. Persone uccise e ferite, trascinate e umiliate. Molte di quelle immagini, sarebbe venuto fuori, erano fasulle o artefatte, ma ormai esistevano e formavano uno strato ulteriore posato su quello reale, saldato a esso e non più distinguibile, né per noi né per la popolazione di Israele. Realtà aumentata. Terrore aumentato. Questo elemento simultaneo di iperrealtà, che negli anni degli attentati terroristici in Europa esisteva ma non era paragonabile in estensione, è un altro monito a fissare al più presto alcuni pensieri fondamentali. E alcune immagini, poche, che ci servano da guida nel prossimo periodo, per non vacillare troppo nei giudizi. Per quanto mi riguarda, so già quali sono queste immagini necessarie, a partire dalla prima che mi ha raggiunto: la bacheca con le foto delle ragazze scomparse, i loro volti sorridenti, i nomi e i numeri di telefono da contattare sotto ognuna.
Poi Noa Argamani, nei pochi secondi di filmato in cui viene portata via, bloccata da due uomini, due predoni su una motocicletta: una dinamica medievale nel senso peggiore del termine, nel senso di razzia. Ma anche, oltraggio nell’oltraggio, l’emoji con la faccina che piange dalle risate a incorniciare quel video, segno di un medioevo che è tutto contemporaneo.
Shani Louk, di ventidue anni, che balla una versione techno di Cupid’s Chokehold insieme alle amiche, strabuzza gli occhi verso chi la sta filmando, e di seguito, in una continuità temporale impossibile da ricomporre eppure vera, un altro video, in cui è riversa a faccia in giù sul pianale di un pick-up, seminuda, gli arti piegati in modo impossibile e due uomini che le siedono sopra, uno dei due la tiene per i capelli, l’altro la schiaccia con una gamba, poi un terzo si avvicina e sputa sul suo corpo. In un altro video ancora, sua madre implora con grande compostezza di avere notizie di lei.
E infine Yaffa Adar, di ottantacinque anni, anche lei circondata da uomini che la stanno portando via, non abbiamo idea di dove.
C’è una storia del conflitto israelo-palestinese che non finisce da settant’anni. Ma ce n’è anche un’altra che è iniziata sabato mattina. Le immagini delle ragazze e delle donne prese in ostaggio sono e resteranno il mio punto fermo di questa nuova storia. Un punto fermo che presto servirà per orientarsi.
Degli ostaggi, nel momento in cui finisco questo articolo, non si sa nulla. Nemmeno il numero totale. Li immaginiamo nei cunicoli di Gaza, sebbene io non abbia nessuna rappresentazione dei cunicoli di Gaza che non sia puramente fantastica. Neppure vogliamo addentrarci troppo in quei cunicoli, prendere in considerazione le innumerevoli ipotesi di brutalità a cui potrebbero essere sottoposti e sottoposte. Anche chiamarli «ostaggi» è un’assunzione venata di speranza: gli ostaggi sono vivi, la loro liberazione verrà negoziata e prima o poi accadrà. Ma per ora non abbiamo garanzie nemmeno su questo. Alcune manifestazioni di sfogo e di giubilo nello sciame di video che ci ha investito ieri fanno pensare a tutt’altro, che ogni esito è possibile. La sola cosa di cui possiamo essere certi, è che prima della loro liberazione la realtà sarà già stata sovrascritta così tante volte da risultare irriconoscibile. Anche l’attacco terroristico di sabato sarà diventato qualcos’altro, qualcosa di molto meno chiaro, diluito nel moltiplicarsi delle narrazioni parziali, delle ricontestualizzazioni, ma anche delle teorie del complotto e delle immagini alterate, fino a quando ogni nostra idea sarà confusa. A meno che non decidiamo adesso che cosa di quel giorno è essenziale non dimenticare.