Stretta agli affitti brevi, rush nella notte per approvare il Testo unico sul turismo
21 Dicembre 2024di Pierluigi Piccini
Oggi, Il Foglio ha pubblicato un articolo molto significativo sul Giubileo, a firma di Matteo Matzuzzi, in cui si sottolinea come, dalla frammentazione di un’umanità stanca, il messaggio cristiano si rivolga alla speranza come atto eroico. Una speranza che, nonostante le difficoltà, resiste e guida verso la pace. Questo mi ha subito fatto tornare alla mente un ricordo che segna profondamente il mio cammino: quello di Don Fernaldo Flori, un sacerdote che, da giovane studente di filosofia, mi introdusse al pensiero di Ernst Bloch. Non ricordo con precisione se accadde ad Abbadia S. Salvatore o a Pienza, ma ciò che mi resta vivido è quella scintilla dell’utopia concreta, di quel “non ancora” che non mi ha mai abbandonato.
Come dimenticare, però, il tormento dell’ontologia, dell’essere, che ha attraversato i miei studi di teologia e di estetica e che ancora oggi mi osserva con sguardo vigile? Gli anni sono passati, tanti, forse troppi, ma questa ricerca continua a fare da sentinella ai miei pensieri. È una tensione che ha riacceso la mia riflessione, anche grazie alle recenti letture, come Metafisica Concreta di Massimo Cacciari, ma soprattutto alle intuizioni di Heidegger. Il filosofo tedesco, con i suoi tentativi di catturare l’essere nel linguaggio, ci mostra la difficoltà che l’Occidente fatica ancora a superare. La nostra umanità sembra ormai sospesa in un esistere che non è più autentico, in un “essere” che si è ridotto a cosa, ente.
Eppure, c’è una consolazione, un porto sicuro. Per me, questa consolazione ha preso la forma dei fenomeni saturi di Jean-Luc Marion, una visione che può sembrare cristiana e, forse, lo è, che ritrovo anche nelle parole di Papa Francesco. Oggi, più che mai, nel “giubileo” che ci attende, vedo come la speranza si faccia concreta nelle mani di ogni uomo. Non siamo ancora ciò che potremmo essere, ma possiamo sempre aspirare a diventarlo, scegliendo di essere altro, desiderando altro. Oggi, quel “altro” si traduce in un messaggio di pace.
Tuttavia, come conciliare questa riflessione con l’attività politica e amministrativa che mi impegna quotidianamente? Come trasformare queste intuizioni in azioni concrete? Un esempio che mi viene in mente è l’ultima iniziativa che ho seguito: la mostra Ludus, inaugurata a Piancastagnaio. Questo evento, che porta con sé un messaggio di speranza e di pace, è un chiaro esempio di come la cultura possa diventare il ponte tra l’utopia concreta e la realtà sociale. La cultura ha il potere di far riflettere, scuotere e spingere al cambiamento, trasformando finalmente il pensiero in azione. Ogni opera d’arte contemporanea, specialmente quelle interattive come quelle della mostra Ludus, rappresenta una forma di “non-essere-ancora”. Un’opera non è mai completa in sé, ma si compie nell’interazione con lo spettatore, che diventa co-creatore, parte attiva di un processo in divenire. Questo dialogo tra artista, opera e pubblico incarna esattamente la “speranza istruita” di Bloch: non un futuro indefinito, ma una possibilità concreta che prende forma nel presente.
Immaginiamo di descrivere un’opera in cui il pubblico è chiamato a lasciare un segno, a spostare un elemento, o a completare qualcosa: il significato finale non esiste ancora, ma si costruisce nel momento in cui l’interazione avviene.
Da qui un esempio concreto del mio impegno politico, come amministratore che non è altro che un’estensione di questa ricerca. La speranza di un futuro diverso, migliore, più pacifico, non può rimanere confinata tra le pagine di un libro o nelle riflessioni teologiche e filosofiche. Deve trovare spazio nella realtà quotidiana, nelle decisioni che prendiamo per la nostra comunità, nel modo in cui rispondiamo alle sfide del presente. E la cultura, come ho già detto, è un veicolo privilegiato per questa trasformazione.
21.12.2024