di Achille Bonito Oliva
La creatività come momento collettivo La fiducia nei linguaggi e nell’errore Ritratto di un artista che ci mancadiAchille Bonito Oliva
L’arte contemporanea nei confronti della realtà non si è mai posta nello stato depresso dello specchio che riproduce e induce le cose a definirsi secondo i modi prestabiliti dell’attesa. Anzi ha sempre attivato procedure che mettono in scacco ogni certezza anticipata e sviluppano intenzionali squilibri della conoscenza. In questo senso, l’arte pratica un linguaggio parallelo a quello della scienza, esercita le armi del sospetto e del dubbio per attraversare i territori della convenzione e del prestabilito. Il procedimento di fondo assume il carattere colloquiale della mentalità socratica che realizza il lavoro e il dibattito per conoscersi, organizza i materiali in maniera esplicita per cogliere di contropiede il piano basso della realtà.
L’arte contemporanea ha imparato con giusta ironia a volare basso, a tirare fili d’intensità con movimenti orizzontali, assorbiti dal bisogno della dimostrazione lampante. Ha praticato il passo di una intelligenza analitica, il passo laterale dalla poesia alla prosa, dall’istantaneità dell’illuminazione alla durata di una pratica intelligente.
Alighiero Boetti partecipa a questa mentalità, sviluppa l’idea di un’arte come pratica dell’intelligenza nomade. L’intelligenza consiste nell’esercizio di una attività critica che assume l’opera come utensile di condensazione di nessi inediti, nell’ambito di dati che giacciono nell’inerzia orizzontale della normalità.
Il nomadismo è il privilegio della volubilità e della variabilità, di una dislocazione fatta di spostamenti progressivi, di preferenze differenziate di materiale. La diaspora implica complessità di molteplici riferimenti, la memoria di numerosi intrecci.
Boetti ha sempre pensato all’artista come ad un terminal organizzativo che progetta e poi delega l’esecuzione ad altri, allargando verso il sociale il momento di produzione materiale dell’arte. Egli pratica lucidamente l’idea della disonestà e della scissione tra progetto e fattura, considerando il processo creativo come una catena di montaggio, a cui partecipano più mani: quelle dell’artista e quelle di altri.
Perché la mano destra è quella di colui che esegue, che riproduce fedelmente il progetto mentre la mano sinistra è la parte maledetta, la mano mancina dell’artista che pratica la differenza e lo sbaglio.
Quando progetta lavori con la biro o gli arazzi in Afghanistan, le copertine di settimanali rifatte a mano, gli aeroplani, egli sviluppa una forma impersonale del lavoro, come pratica anonima e partecipativache opera sul frazionamento.
Il frazionamento significa frantumazione bilanciata, esecuzione che parte da un campo di concentrazione individuale, il progetto, per poi allargarsi nella divisione della produzione materiale, nella distrazione di un momento iniziale che sviluppa successivi momenti di applicazione.
La pratica dello sbaglio avviene perché non esiste l’esecuzione pura, ma c’è l’introduzione al progetto di altri soggetti, seppure esecutori, che esercitano inevitabilmente la variazione.
Boetti realizza opere che sono affermazioni concrete di contraddizione, proposizioni vive che rompono lo schema logocentrico del pensiero tradizionale per introdurvi l’intensità dello sbaglio, perseguita mediante procedure estremamente materiali e controllate, la tecnica.
L’intensità, propria dell’arte, è l’applicazione costante della tecnica dello sbaglio, perseguita mediante una durata sistematica e una dimostrazione lampante.
La durata è direttamente proporzionale allo sviluppo del lavoro lungo un percorso lineare e materiale, dal progetto alla fattura, dall’ideatore all’esecutore anonimo, dalla mano sinistra alla mano destra.
La socializzazione rappresenta una specifica qualità dell’arte di Boetti, che assume della produzione moderna, come quella del cinema, il carattere del montaggio, della specializzazione, del gioco delle parti.
In questo caso per “specializzazione” si intende possibilità di partecipazione e non solitudine alienata nella produzione, indicazione di un modello che riqualifica il senso del lavoro collettivo, artistico nel progetto dell’autore, materiale qualificabile per gli altri partecipanti.
Boetti ha sviluppato, con linguaggi diversi, il concetto di decomposizione, il positivo affrancamento da un’unica opzione formale, l’affermazione dello slittamento e sconfinamento in opere complesse.
Tutte le opere di Alighiero Boetti promuovono forme di comunicazione già all’interno dell’opera stessa e durante il processo creativo, perché la creazione non risiede semplicemente nel momento verticale del progetto, ma anche in quello orizzontale della “produzione” che non significa “riproduzione”, bensì allargamento delle differenze e accesso al bisogno collettivo della creatività.
A trent’anni dalla scomparsa Alighiero e Boetti, né destro né mancino, conferma a vita il terzo braccio, quello dell’arte.