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Gli ex terroristi escono dall’aula di giustizia a Parigi. In una sola cosa sembrano simili al lontano passato: l’atteggiamento di riservatezza, la chiusura al mondo esterno, lo stare sospesi in una specie di bolla spazio- tempo. In realtà, dice chi li conosce, «sopravvivono. Sbarcano il lunario. Dal punto di vista militare si potrebbero definire come “i dispersi”». Quelli che erano ragazzi armati, in un periodo che venne chiamato “Anni di piombo”, adesso, in questi anni di globalizzazione, pandemia, tensioni di guerra a Est, sono diventati ultrasessantenni; in un mondo troppo cambiato rispetto a quello che li ha visti ammazzare, sequestrare, ferire, piazzare ordigni e credere nella rivoluzione comunista. Le telecamere delle Tv francesi, inquadrandoli all’uscita della Chambre de l’Instruction, hanno mostrato capelli grigi e passi a volte pocosicuri. Il più famoso, Giorgio Pietrostefani, ergastolo per l’omicidio nel 1972 del commissario Luigi Calabresi, è in ospedale, molto malato.
Uno dei più giovani è Sergio Tornaghi. Il 19 novembre 1980 ammazzò Renato Briano, direttore del personale della Ercole Marelli, sparandogli alla testa alle 8.20 tra i pendolari della linea 1 della metropolitana milanese, e scappò con un complice dalla stazione di Gorla: ora ha 63 anni. Che cosa pensa del ragazzo di periferia di 21 anni con in mano la 7.65 fornita dalle Brigate rosse, colonna Walter Alasia? Un altro protagonista di quella stagione è Raffaele Ventura: ha 70 anni e l’anno prossimo il suo reato va in prescrizione. Era uno dell’area di Autonomia/ Prima Linea, e il 14 maggio 1977 si trovava in via De Amicis, a Milano. Dove l’agente di polizia Antonio Custra venne ucciso da un colpo di pistola sparato da lunga distanza, che gli trapassò la visieradel casco. Di quel pomeriggio sono rimaste le fotografie che hanno fatto il giro del mondo: l’autonomo con il volto coperto che spara a gambe larghe e braccia semitese. Foto che hanno poi permesso di catturare tutti. Ventura è diventato un operatore tv, ha settant’anni e pare lavori ancora.
«Nessuno ha più dato interviste. E nessuno ha più commesso reati e hanno mantenuto tutti — ci sentiamo dire da un loro conoscente — un comportamento che non ha mai messo in difficoltà il Paese che li ospita. Con una sola eccezione, Cesare Battisti», che scappò dalla Francia, andò in Sud America e venne preso in Bolivia nel 2019. E chepoi, messo in cella in Italia, ha finalmente confessato davanti al procuratore Alberto Nobili i reati che aveva sempre negato, abbindolando non pochi scrittori in patria e all’estero.
Se la cifra di Battisti è sempre stata la provocazione, gli altri si sono nascosti nel “buio” totale: «Sino agli anni ’80 si trovano in due o tre bar, nella periferia Nord di Parigi, per ragionare della situazione, ma da tempo ognuno se ne sta grosso modo per conto suo, non mi pare che nessuno abbia una vita che si potrebbe definire — ci dicono — interessante ».
Forse sarà stato il tempo trascorso. O forse che senso ha trovarsi? Alcuni non avranno molto da dirsi con il bergamasco Narciso M anenti, diventato arredatore. Aveva creato da solo i Nuclei armati di contropotere territoriale, con la speranza di entrare nella galassia di Prima Linea, e aveva ammazzato il 13 marzo 1979 il maresciallo Giuseppe Guerrieri. Era fuori servizio, portava il figlio dal medico e davanti al bambino venne ammazzato.
Altri hanno militato insieme. Come i brigatisti romani Giovanni Alimonti e Roberta Cappelli, che avevano partecipato al fallito attentato (gennaio 1982) del dirigente della Digos Nicola Simone, il quale era riuscito a rispondere al fuoco. Su Cappelli, che aveva ucciso il poliziotto Michele Granato, insieme a Marina Petrella pende la condanna all’ergastolo per aver colpito a morte il generale dei carabinieri Ernesto Galvaligi. E Petrella, trovata nel 2007 dalla polizia su un autobus di Parigi, proprio in quella periferia Nord dove ci si dava appuntamento tra fuggiaschi e rifugiati con l’asilo politico della cosiddetta “dottrina Mitterand”, in carcere precipitò in una tremenda depressione, arrivando a pesare poche decine di chili, tanto che il presidente Nicolas Sarkozy non poté non dare il salvacondotto per ragioni di salute.
Per queste persone, per Luigi Bergamin dei Proletari armati per il comunismo (l’anno prossimo il reato va in prescrizione), per Enzo Calvitti, per Maurizio Di Marzio, la Francia, come si sa, ieri ha detto no all’estradizione. I familiari delle vittime vorrebbero vedere i dieci in Italia, almeno per sentirli ammettere le responsabilità in un’aula di giustizia. Sembrava essersi aperto uno spiraglio nell’aprile dell’anno scorso, con l’operazione “Ombre rosse”, ma ancora oggi se la pagina di storia è chiusa, la pagina delle sofferenze umane resta aperta. Sgualcita, se si vuole, ma aperta.