INCAMMINATI VERSO IL FUTURO
15 Agosto 2023Proposta fatta da Per Siena a De Mossi nel 2018 e regolarmente respinta
20 Agosto 2023
Che fine ha fatto la Venere-influencer di Open to Meraviglia? Lanciata sui social ad aprile, la spinta propulsiva sembra essersi esaurita il 27 giugno visto che, da quella data, è introvabile su qualsiasi piattaforma. Dopo le polemiche sull’inutile inglesismo nello slogan, dopo gli strafalcioni nella traduzione del sito internet, l’uso disinvolto di banche date fotografiche (una cantina slovena usata per rappresentare l’enoturismo italiano), le dimenticanze sul dominio web e diciamolo, le banalità degli scenari e delle pose palesemente copiate da quelle della Ferragni, sembra chiudersi – almeno parzialmente – un capitolo non troppo esaltante della promozione turistica nazionale. Non che sia il solo e probabilmente non sarà l’ultimo. Il problema sta all’origine: aver staccato il turismo dalla cultura, creando un ministero apposito. La scelta è una ammissione indiretta di abbandono di un turismo consapevole basato sull’approccio umano, legato alla tutela delle comunità e dei paesaggi in una chiave di sostenibilità economica.
Ha vinto – a quanto sembra – la brutalità dello sfruttamento economico del patrimonio artistico e paesaggistico a vantaggio di pochi imprenditori, che fanno a gara ad alzare i prezzi allontanando la povera gente dal lusso e dalla bellezza (perché si può transitare qualche minuto da Cortina o Venezia, ma non fermarsi a dormire o a mangiare). Open a un mondo ingiusto! Se servisse una controprova, la Santanché – arrivata a Siena il 16 agosto – ha elencato il numero di aziende e di presenze che sarebbero generati dal Palio, aggiungendo che l’evento è diventato un «attrattore turistico». Il ministro sa bene che il Palio non è nato per il turismo, ma lascia intendere come la storia e la memoria siano subalterne all’economia. I risvolti sociali, gli aspetti antropologici, lo stile e la qualità della vita, il valore della bellezza, il rispetto delle tradizioni, il valore identitario, il senso di una città che può essere protagonista nel mondo, il confronto costruttivo tra residenti e ospiti, non sembrano contare.
In compenso la Santanché snocciola numeri, parla di turismo come industria, escludendo i viaggiatori che vogliono scoprire con tranquillità un luogo accogliente, da tutti i punti di vista. Secondo una certa visione, invece di essere un “museo a cielo aperto” (tanto per usare un altro luogo comune) l’Italia sarebbe una “location” pronta ad essere “sfruttata” dai gestori di stabilimenti balneari, bar, ristoranti, alberghi. Venere del Botticelli diventa così un’ottima influencer immersa nei “luoghi comuni” (alla lettera) tra pizze e sfondi di celebri città o paesaggi iconici. Il ragionamento è semplice: se metto insieme un notissimo volto femminile (una simil Ferragni) con Piazza San Marco o il Colosseo, potrà attrarre un pubblico vasto e indistinto. Si gestisce la ricchezza di un Paese come merce, alla stregua di un panino di Mc Donald’s o di una maglietta Adidas, ma questo serve? I centri storici, alcuni territori delicati si consumano, non riescono più a trattenere milioni di turisti. Per di più, non sono replicabili, come un qualsiasi prodotto industriale.
In realtà ci sarebbe un’Italia lontana dagli stereotipi, con una bellezza straordinariamente diffusa che viene ignorata, mentre si investe sulla banalità di ciò che è stranoto. I Paesi Bassi hanno da tempo affrontato l’invasione di città come Amsterdam astenendosi dalla promozione turistica. Basterebbe il minimo sindacale per far conoscere aree interne in via di abbandono, colture e i mestieri, musei, chiese e palazzi, bellissimi paesaggi, centri storici e laghi, montagne e spiagge libere deserte di fronte a un mare cristallino, cittadini amanti del proprio paese o artigiani, studiosi o cuochi. Si può scegliere: da un lato le comunità che possono inglobare cittadini temporanee condividendo stili di vita, ricette peculiari, tradizioni, passioni ed esperienze autentiche; dall’altro i selfie delle influencer, i “borghi medievali”, le “experience”, i “tour”, gli “show-cooking”, i “wine-tasting”. Tra i due estremi c’è la stessa distanza che può separare il turismo alla Santanché (o alla Briatore, fa lo stesso) dalla cultura.
riceviamo e pubblichiamo