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dal nostro corrispondente Davide Frattini
Gaza, le fratture nel governo e i «giochi» del premier
GERUSALEMME Il parlamentare che ha lasciato il suo Likud gli chiede se Israele riprenderà la guerra dopo la possibile tregua, il ministro che minaccia di lasciare il suo governo gli intima di continuarla. Benjamin Netanyahu è stato ascoltato dalla commissione Esteri e Difesa alla Knesset, fuori trentacinque gradi, dentro ancora più caldo nonostante l’aria condizionata. Perché tutti capiscono che in queste ore si decide — o meglio si deve confermare — quella che secondo Joe Biden è una risoluzione già presa dal consiglio di guerra israeliano.
Lo capiscono meglio di tutti — e con più angoscia degli altri — i famigliari degli ostaggi che si piazzano fuori dalla stanza dove i deputati di Potere Ebraico discutono le prossime mosse, urlano «vigliacco» a Itamar Ben-Gvir. Il ministro e leader dei coloni dice di essere stato preso in giro, che i consiglieri di Bibi gli avevano promesso per due volte di fargli vedere la bozza di accordo e non è mai successo. Bezalel Smotrich, altro ministro oltranzista, si consulta con i rabbini per decidere se andarsene dalla coalizione al potere.
Netanyahu precisa che il conflitto non finirà senza la distruzione di Hamas, ma ammette che di una tregua permanente è disposto a parlare con i negoziatori dopo la prima fase dell’accordo. È questa risposta all’ex alleato Ze’ev Elkin a dettare la linea. Le divisioni si riproducono fuori dal palazzo, non lontano dal colonnato in marmo di Gerusalemme. I parenti dei soldati caduti vogliono che i combattimenti vadano avanti (sono radunati in gruppi di estrema destra), quegli degli ostaggi che gli amati tornino indietro. Per i coloni è una frattura nel Paese che risale al 2005, al ritiro da Gaza ordinato da Ariel Sharon, sperano ancora di poter rioccupare la Striscia. Netanyahu — che sul dopoguerra è rimasto vago — ha accettato di valutare il piano di Yoav Gallant, il ministro della Difesa, per consegnare il controllo dei 363 chilometri quadrati a clan palestinesi locali.
Il premier più longevo nella Storia di Israele sta continuando nelle manovre interne, quelle che gli hanno permesso di accumulare diciotto anni al potere in totale. Anche perché deve affrontare una seconda crisi: i giudici della Corte Suprema non si sono lasciati convincere dai legali del governo, insistono che deve presentare e votare una legge per l’arruolamento dei giovani ultraortodossi. Per lui significherebbe perdere il sostegno dei partiti religiosi che si oppongono al servizio obbligatorio per gli studenti delle scuole rabbiniche. I generali sostenuti da Gallant e Gantz, l’ex capo di stato maggiore che ha lasciato l’opposizione per entrare nel gabinetto ristretto, ripetono di aver bisogno di più soldati. Senza la nuova norma il peso ulteriore ricadrebbe ancora una volta sulla parte laica della società, gli stessi israeliani che hanno protestato per dieci mesi — fino ai massacri del 7 ottobre — contro il piano giustizia antidemocratico voluto dalla destra e che adesso chiedono il cessate il fuoco per il rilascio dei rapiti. Ricadrebbe anche sugli elettori del Likud e sui sionisti religiosi che la divisa la indossano.
Così Bibi — scrive Aluf Benn, direttore di Haaretz — potrebbe sfoderare dal cilindro del Mago, come nessuno lo chiama più, la mossa che tante volte gli ha permesso di far scomparire le crisi e riapparire da capo del governo: andare al voto anticipato. «Dissolvere la Knesset sposterebbe i problemi avanti nei mesi e soprattutto allontanerebbe nel tempo quella commissione d’inchiesta sulle responsabilità del 7 ottobre che il premier sta cercando di evitare». Anche se è indietro nei sondaggi, anche se le previsioni danno Gantz trionfatore, è consapevole di dare il meglio nelle campagne elettorali, soprattutto quelle in cui è in gioco la sua sopravvivenza politica.