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Siena, ottobre 2023
Palio e rievocazioni storiche
Quello che si corre a Siena – ufficialmente dal 2 luglio 1656 – ha come protagoniste le diciassette Contrade, le cui origini precedono di molti secoli il Palio. Può quindi essere definito – lui solo – il ‘Palio delle Contrade’. Invece, le sue imitazioni (i ‘paliotti’) ormai largamente diffuse in Italia, si disputano tra le ‘contrade del palio’; vale a dire, entità fittizie prive di storia. I paliotti sono definiti ‘rievocazioni storiche’, presupponendo che riportino in vita qualcosa defunto da secoli, ammesso che quel qualcosa sia realmente esistito.
E’ possibile che, in qualche caso, si tratti di palii ‘alla lunga’, ampiamente diffusi in un remoto passato, come quello che si correva anche a Siena il 15 agosto, dal medioevo fino al 1808. Condivideva col Palio attuale solo il nome, perché si trattava di una vera gara sportiva. Era disputata con cavalli atleti di proprietà d’illustri personaggi che si potevano per metter il lusso di mantenere i focosi destrieri capaci di percorrere i 1800 metri del percorso. Le Contrade, quindi, non vi prendevano parte, preferendo di confrontarsi in giochi violenti: come le Pugna o le cacce ai tori. Quando presero gusto a correre in Piazza, lo fecero in groppa a bufale o ad asini, ma sempre col contorno di una squadra di pugilatori.
Senza la storia secolare delle Contrade non può, dunque, esserci vero Palio: solo discutibili imitazioni, E’ questo l’argomento fondamentale su cui far leva per sfuggire alla burocrazia che vuol includere la nostra grande e unica Festa nella folla anonima delle rievocazioni storiche. L’omologazione del nostro Palio come uno dei palii d’Italia, è purtroppo anche responsabilità de quei dirigenti di Contrada, che si sentono obbligati a partecipare ai paliotti per reggere la coda ai fantini. Questi ultimi vi hanno trovato una fonte perenne di reddito, che consente loro di essere professionisti a tempo pieno, e – grazie ai notevoli guadagni -dominare le Contrade. In passato, infatti, c’erano i fantini di Contrada, mentre ora abbiamo le Contrade dei fantini.
In realtà il Palio è essenzialmente il rito di una religione civile, che lo storico inglese Arnold Toynbee – nella sua fondamentale opera “Stato e religione” – individua nella seconda tappa del viaggio che l’Uomo compie verso le religioni trascendenti. Vale adire, il culto del potere politico collettivo che nasce quando gli uomini si riuniscono nelle città-stato, e abbandonano quello totemica della Natura, ormai sottomessa. Simboli di questa nuova forma di religione, al posto degli animali o degli eventi fisici che terrorizzano i primitivi – come, ad esempio, il leone mangia-uomini o il vulcano con i suoi terremoti – sono le divinità eponime della città, spesso identificate con una qualche loro peculiarità. L’esempio più classico è Atene posta sotto la protezione di Atena ‘Promache’ (letteralmente: che combatte in prima fila’). Lo storico inglese associa alle città-stato dell’Attica le città-stato italiane dell’epoca comunale, tra cui – espressamente – anche Siena. Sotto questa luce, può essere vista, in senso sociologico, la proclamazione della Beata Vergine ‘Assunta in Cielo’ a Regina di Siena. Il Palio può quindi essere avvicinato alle ‘Panatenaiche’, le celebrazioni politico-religiose con cui periodicamente gli ateniesi onoravano la loro patrona. Tra esse c’erano anche corse di cavalli montati tra ‘demi’ cioè tra i quartieri della città (Contrade?). I gesti dei concorrenti immortalati da Fidia nel fregio del Partenone, ricordano molto da vicino quelli dei fantini del Palio, prima e durante la corsa.
All’Entrone A cavallo! Alla Mossa La corsa
I cavalli per il Palio: genotipo e fenotipo
Per definire un essere vivente esistono due criteri: il genotipo e il fenotipo. Il primo si riferisce al suo patrimonio genetico, il secondo al suo aspetto. Prendiamo, ad esempio, tre animali: una rana, un coccodrillo e un ippopotamo; quindi, un anfibio, un rettile e un mammifero. Sono tre creature molto lontane tra loro, di cui possiamo dire che hanno un genotipo molto diverso. Osservandoli però più attentamente, notiamo che condividono un’inattesa caratteristica – seppur limitata – del loro aspetto: hanno tutte narici e occhi sporgenti. E’ la conseguenza del fatto che vivono tutte a pelo d’acqua: quindi, per vedere e respirare, hanno dovuto adottare queste caratteristiche; vale a dire, lo stesso “fenotipo”, grazie alla cosiddetta “convergenza evolutiva”.
Prendiamo ora due razze di cavalli. Se i loro allevatori avranno la stessa passione – quella di vincere le corse – selezioneranno, generazione dopo generazione, quei soggetti in cui predomina lo stesso fenotipo: quello cioè più adatto ad assicurare la massima velocità possibile.
Alla fine, pur partendo da genotipi differenti, otterranno soggetti dello stesso fenotipo.
E’ quello che è capitato agli anglo-arabi, diversi per genotipo ma simili per fenotipo al purosangue inglese: infatti, per riconoscerne l’apparenza all’una o all’altra razza, è necessario l’ausilio di un micro-chip. Simili, però, fino a un certo punto: perché sull’evoluzione e la selezione gioca anche l’epigenetica – una recente acquisizione della genetica molecolare – ad opera della quale, nello stesso fenotipo, l’ambiente può introdurre sottili differenze in singoli soggetti, senza peraltro modificarne in maniera permanente il genoma: nel caso dell’anglo-arabo, una minore docilità e una accresciuta nevrilità che li rende ancor meno adatti dei loro cugini inglesi per sopportare lo stress delle attuali interminabili mosse. Definire poi gli anglo-arabi ‘mezzo-sangue’ è una bugia. Sono, a tutti gli effetti, cavalli atleti; o – secondo uno dei vari sistema di classificazione – a ‘sangue caldo’: vale a dire di temperamento ardente, adatto per gareggiare in velocità. Per mezzo-sangue, infatti, si deve intendere il prodotto dell’incrocio tra un ‘sangue-caldo’ e un ‘sangue-freddo’: cioè, un soggetto di carattere tranquillo, adatto al tiro.
Com’è noto il Palio ‘alla tonda’ nasce come una giostra e non come una corsa.
Tre cose, infatti, fanno male ai cavalli: galoppare sul duro, correre in curva, essere montati ‘a pelo’. Tre condizioni che, impediscono di immaginare la Piazza come un ippodromo. Quindi, per secoli, i cavalli per il Palio non sono stati atleti ma cavalli di servizio solo occasionalmente usati per correre montati. E come i cavalli, così i fantini, che campavano esercitando vari mestieri e per i quali il Palio costituiva un’importante fonte straordinaria di guadagno. Di conseguenza, non si sottoponevano – come i loro moderni colleghi – a una preparazione atletica, indispensabile per ‘rombare’ a S. Martino, e non erano giudicati secondo ‘traiettorie’ termine balistico più adatto a un missile che alla difesa o alla conquista a suon di nerbate del famoso ‘viottolo’. Di conseguenza i tempi della corsa erano molto più lunghi di quelli attuali. L’evoluzione dei cavalli per il Palio verso il fenotipo ‘atleta’ ha trascinato con sé principi e pratiche tipiche delle corse in ippodromo, in una Piazza che – come si è detto – è l’antitesi di un ippodromo. Così le stalle ricordano sempre più i box della formula uno, affollate come sono da ogni tipo di specialista.
Recentemente, un decano dei maniscalchi senesi ha notato che i cavalli per il Palio stanno crescendo di peso. E’ la conseguenza di una modalità positiva: l’allenamento su piste di sabbia, che però, se da una parte tutela le articolazioni, dall’altra agisce come una palestra, facendo crescere masse muscolari e velocità. Di conseguenza, l’accresciuta energia cinetica – che com’è noto è pari a ½ mv2 – stante l’assenza di resilienza del tufo dovrà essere interamente smaltita dalle articolazioni del cavallo. Ciò comporta l’uso – ormai di routine – d’infiltrazioni.
Far correre un cavallo sotto terapia non depone certamente bene per quanto concerne la tutela del benessere dei cavalli. Sarebbe perciò corretto cancellare la lista dei farmaci ammessi.
L’unico rimedio possibile è ridurne la velocità, grazie all’impiego esclusivo di cavalli realmente mezzo-sangue, meno veloci. Se i tempi della carriera si allungano, la mossa finisce per pesare meno sull’esito della corsa e i relativi tempi – oggi esageratamente lunghi – si abbrevieranno, riducendo così lo stress psicofisico e metabolico dei cavalli: un disagio poco noto al grosso pubblico rispetto alla spettacolarità delle fratture.
Altro fattore assolutamente negativo è la corsa alla professionalizzazione, che, trascina il Palio nelle panie della burocrazia ministeriale, dal quale può salvarsi sostenendo quanto segue.
- A.Il Palio non è una rievocazione storica ma esso stesso Storia in divenire.
- B.Il Palio non è una gara sportiva, perché, in base al regolamento comunale, i concorrenti, all’atto di uscire dal Cortile del Podestà, passano alle dirette dipendenze dell’Autorità Comunale. Di conseguenza i proprietari dei colori che indossano (cioè le Contrade) non hanno più alcun diritto sulla gestione dei soggetti che li rappresentano: sono cioè attori di uno spettacolo e le Contrade non possono citare in tribunale il Comune, come invece potrebbe fare un proprietario nei riguardi della direzione di un ippodromo.
- C.L’obiettivo fondamentale del Palio è l’esaltazione della Città di Siena, e non la glorificazione dei concorrenti. Infatti, il Palio si fa con le Contrade e non per le Contrade, che – come si dice – corrono d’obbligo. Vale a dire, compiono un servizio verso la Città. Sono perciò parte di un rito e quindi non di una competizione sportiva.
Ritornare al Palio-giostra
La domanda cruciale è: esitono oggi cavalli adatti per questo ritorno al passato?
Una risposta può essere il cavllo per il polo.
Il polo è uno sport antichissimo nato in Asia con lo scopo di addestrare giovani cavalieri.
Il gesto atletico che ancor oggi lo caratterizza – la mazza calata dall’alto in basso per colpire la pallina – è identico al fendente calato per staccare la testa di un nemico. E’ quindi una giostra, in cui il cavallo deve essere completamente sottomesso al cavalier e pronto ad obbedirgli qualunque sia la novità che deve affrontare, Deve anche essere agile per cambiare direzione e allungare o accorciare il suo galoppo. Secondol’opinione di molti esperti sarebbe perciò il soggetto ideale per il Palio. La comparsa di un cavallo da polo tra i barberi non è sconosciuta. La più famosa è il palio di agosto del 1954, e ebbe nome ‘Rosella’. Toccò – tra lo sconforto generale, al Nicchio, i cui contradaioli la stimarono la peggiore del lotto.
Inaspettatament, montata da un giovane Vittorino, tenne testa fino all’ultimo metro a una scatenata Gaudenzia scossa. Fu capace di farlo per la periza del fantino ma anche per la docilità che le consentiva di essere gestita ‘a mazzetto’ e l’agilità di eseguire innumerevoli parate. Fu forse un estremo esempio di Palio-giostra rimpianto ormai da pochi ma rimasto nella memoria di molti Senesi che lo vorrebbero vedere ancora al posto di un gran premio.
Il destino sembra indicare che questa è la via giusta. Infatti, a Villa a Sesta, è sorto per iniziativa di un geniale imprenditore forestiero un centro del Polo di valore europeo. Può ospitare fino a quattrocento soggetti (attulmente ve ne sono trecento). Il cavallo da polo più diffuso nasce da un cavallo dei mandriani (il Criollo: l’equivalente per funzioni del nostro maremmano) migliorato con l’incrocio col solito purosangue inglese. Ha un mercato mondiale e – importato direttamente dall’Argentina in grandi quantità – costi assai contenuti.
Per finire. Ormai si fa largo uso della ‘monta a pelo’. I vecchi ‘cavallai’ la evitavano ogni volta che era possibile. Nello stendardo per il vincitore della corsa di Quinciano lungo strade di campagna si vede che i fantini montavano a sella. Per ‘farsi la coscia’ i fantini usavano dei ronzini. Addirittura – per mancanza di soldi – perfino una scrofa, come confessò Tripoli Torrini, detto Tripolino, vincitore di ben sei palii su venti corsi.
prof. Paolo Neri