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Disinformazione e fake Germania sotto attacco
17 Febbraio 2025
Ray Charles – Mess Around
17 Febbraio 2025
“Trump? Non va demonizzato, ma le sue mosse assomigliano ad atti di bullismo. La fine della guerra non coincida con la resa di Kyiv. L’Italia liberale? Con meno burocrazia, meno tasse e più liberalizzazioni. I matrimoni gay? A favore”. Intervista a tutto campo con il capo di Fininvest
Il pendolo, in politica, bisogna immaginarselo: è quel movimento istantaneo che sposta improvvisamente l’estremismo da una parte all’altra degli schieramenti, è l’immagine perfetta per provare a ragionare su un nuovo mondo che improvvisamente si è aperto intorno a noi. Il pendolo, in politica, bisogna immaginarselo, è quel movimento istantaneo che spinge i protagonisti della vita pubblica a combattere l’estremismo con altri eccessi di estremismo, è l’immagine perfetta con cui fotografare il disorientamento di chi, ragionando sul presente, cerca di trovare non una terzia via ma semplicemente una via di mezzo. Marina Berlusconi, primogenita di Silvio Berlusconi, presidente di Fininvest e del gruppo Arnoldo Mondadori, è qui di fronte a noi, sul divano soffice del suo appartamento di Milano, e accetta di ragionare a lungo con il Foglio sull’Italia, sull’Europa, sull’Ucraina, sull’America di Trump. E non si sottrae davvero a nessuna domanda. Lo fa senza voler fare intromissioni nel perimetro della politica, senza voler dettare agende, senza voler lanciare moniti, ma con lo spirito di chi si sente in dovere, ogni tanto, di dare un senso al caos, di mettere ordine e di provare a ragionare e a far ragionare. Il pendolo, si diceva.
“Faccio l’editore – dice Marina Berlusconi – e il problema della divisione dell’Occidente mi colpisce soprattutto dal punto di vista culturale. Perché è vero che le grandi autocrazie globali – la Russia, la Cina, l’Iran – sono una minaccia politico-strategica ed economica. Ma quelle dittature oggi fanno fronte comune anche in un campo diverso, ideale, ponendosi apertamente come un modello alternativo al nostro. A questa minaccia esterna si aggiunge, poi, quella interna, visto che anche una parte di opinione pubblica occidentale
negli ultimi anni ha cominciato ad allontanarsi dai valori della democrazia e della tolleranza. E a mettere in dubbio che l’Occidente, pur con tutti i suoi difetti, sia il migliore dei mondi possibili. Con il passare del tempo, la memoria delle sanguinarie dittature del Novecento sta sbiadendo e la ‘sindrome del pendolo’ diventa sempre più contagiosa”. In giro per il mondo, oggi, dove è possibile osservare in purezza questa sindrome? “Il problema mi sembra evidente. Sembra che il modo di pensare occidentale sia ormai condannato a oscillare come un pendolo tra convinzioni sempre più estreme. Abbiamo vissuto una lunga stagione di esagerazioni progressiste, oggi veniamo trascinati verso eccessi altrettanto radicali in senso opposto. Una dinamica preoccupante, nella quale anche i conservatori tradizionali vengono travolti dalle posizioni più reazionarie. Il pendolo si sta spostando dalle utopie dell’ambientalismo ideologico all’assurda miopia del negazionismo climatico; dai pericoli dell’apertura indiscriminata delle frontiere all’innalzamento di muri che sono altrettanto inaccettabili. E se parliamo dei diritti civili, siamo passati dai paradossi della cultura ‘woke’, che pretendeva diritti assoluti dimenticando totalmente doveri e responsabilità, al drastico ridimensionamento di tutte le politiche d’inclusione e al culto della verità biologica. Così, però, rischiano di andare perdute alcune conquiste irrinunciabili sul fronte dei diritti e delle libertà di scelta individuali. Perché quella dei diritti non è una questione né di destra né di sinistra. E’ una questione di civiltà. Devo dire che ho sempre trovato prive di senso le pretese dei seguaci della ‘cancel culture’, che volevano riscrivere la storia, abbattere statue e cambiare nome a strade ed edifici: ora abbiamo un Donald Trump che, proprio per rivendicare l’identità degli Stati Uniti rispetto alle proposte di quegli invasati, s’è messo in testa di ribattezzare
“Oggi tutti dovremmo aver chiaro che l’Europa non è un’opzione, ma una scelta obbligata. Servono più libertà e più concorrenza. Questo vale per l’Europa come anche per l’Italia” “Spero che il paese da sempre garante del mondo occidentale non abbia ora un presidente che diventa il rottamatore dell’Occidente stesso, demolendo quello che l’America è stata negli anni” il Golfo del Messico in Golfo d’America. E va anche oltre, ipotizzando l’annessione del Canada o della Groenlandia. Sembrerebbe uno scherzo, ma purtroppo non lo è. Basta guardare all’immagine che abbiamo visto sui giornali di tutto il mondo, che ritrae file di migranti in catene espulsi dagli Stati Uniti. Una fotografia orribile, inquietante, che è stata trasformata dal nuovo presidente in un simbolo di ‘missione compiuta’, una orgogliosa dimostrazione di come sta mantenendo le sue promesse. Stiamo assistendo a una inaccettabile esibizione, addirittura a una istituzionalizzazione della crudeltà, che viene peraltro emulata, con una buona dose di ipocrisia e di contraddittorietà, anche da grandi vestali del multiculturalismo come i laburisti inglesi”.
Claudio Cerasa è nato a Palermo nel 1982, vive a Roma da tempo, lavora al Foglio dal 2005 e dal gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro: “Le catene della destra” (Rizzoli 2022) il più recente. Interista, ma soprattutto palermitano. Due figli.
Il pendolo di Marina Berlusconi
“Sono favorevole ai matrimoni gay. Sono convinta che la famiglia non possa essere ingabbiata in schemi e modelli standard, ma ognuno debba avere il diritto di creare la propria insieme alla persona che ama”
Il pendolo più pericoloso, almeno per quanto ci riguarda, è quello che Trump ha scelto di spostare con violenza, tentando di offrire risposte estremiste a problemi spesso generati da un estremismo opposto. “Non voglio accodarmi alla fila di coloro che demonizzano Trump a priori: stiamo parlando del presidente della più grande democrazia al mondo, legittimamente eletto dal suo popolo, ed è ancora troppo presto per dare giudizi definitivi. Indubbiamente le sue prime mosse generano più di una preoccupazione, ma va anche detto che il forte pragmatismo di certe iniziative potrebbe portare a risultati rilevanti come la fine della guerra in Ucraina. Ma se fosse una pace fatta sulla pelle di Kyiv e dell’Europa non credo si potrebbe considerare un bene. Mi auguro davvero, in ogni caso, che il futuro possa dimostrare come le preoccupazioni iniziali fossero immotivate. Per il momento non si può ignorare che molti dei primi interventi di Trump hanno sì portato qualche vantaggio immediato agli Stati Uniti, ma alla lunga la sua strategia di mettere gli altri paesi continuamente sotto pressione si trasformerà in una forza centrifuga sempre più violenta, capace di separare e dividere la comunità occidentale. Spero davvero che il paese che è sempre stato il principale garante dell’Occidente non abbia ora un presidente che ambisce a diventare lui il ‘rottamatore’ dell’Occidente stesso, demolendo così tutto quello che l’America è stata negli ultimi ottant’anni: molte delle sue prime mosse, purtroppo, assomigliano ad atti di bullismo politico, in cui gli Stati Uniti si pongono come il solo e incontrastato numero uno, mentre gli alleati vengono trattati come paesi-satellite”. Forse è qualcosa più di una semplice impressione. “Personalmente mi rifiuto di credere che l’America possa arrivare a rinnegare il suo ruolo guida di paese più potente del mondo, che ha sempre esercitato in nome del multilateralismo e del sostegno tra alleati. Il fatto, però, che se ne possa anche solo dubitare è di per sé stesso inquietante. Del resto leggiamo quotidianamente notizie su paesi storicamente legati agli Stati Uniti che si ritrovano di colpo a dover scegliere: o si cede ai diktat trumpiani o si reagisce a propria volta con altri dazi. Da convinta sostenitrice del libero mercato, non posso che avere grosse perplessità su tutto ciò che sono i dazi e, più in generale, il protezionismo. E comunque oggi esistono anche modelli ultraliberisti come quello del presidente argentino Javier Milei, che i dazi invece li toglie e che, almeno per ora, sta riuscendo a risanare i conti di un paese da decenni in balia dei default. Tornando a Trump, voglio sforzarmi di vedere il bicchiere mezzo pieno: qualcuna delle sue azioni radicali potrebbe avere alla fine anche effetti positivi, come quello ad esempio di spingere finalmente l’Europa a
superare le divisioni e a unire le forze”.
E’ spaventata o rassicurata dalla presenza, attorno a Trump, dei signori delle Big Tech? “Si sono tutti scandalizzati per la sfilata dei signori delle Big Tech a Washington, in prima fila all’insediamento di Trump, ma devo dire che la loro forza incontrastata è una anomalia che faceva già paura prima. Nella storia dell’umanità non si era mai assistito a una simile concentrazione di potere, ricchezza e interessi nelle mani di pochi soggetti. Servono limiti e regole. Va riconosciuto che l’Europa e anche l’Italia hanno cominciato a muoversi su questo fronte: mi auguro davvero che ora non si lascino condizionare dalla marcia indietro di Trump, che si è subito ritirato dalla global minimum tax a tutela di Musk & Company. C’è un problema di concorrenza sleale grande come una casa, ma sarebbe molto riduttivo pensare che la minaccia sia tutta qui. Questi colossi del digitale, infatti, sono riusciti a imporre nella nostra vita di tutti i giorni la dittatura dell’algoritmo, che porta alla massima semplificazione delle opinioni, alla polemica più estrema e alle tesi più radicali. Il tutto con l’obiettivo di generare traffico online, e quindi più incassi, e purtroppo oggi anche di influenzare il modo di pensare della gente. E’ un meccanismo infernale, che inevitabilmente ha contagiato in profondità anche la politica”.
Dire Trump, oggi, significa dire molte cose insieme. Ma oggi forse significa dire soprattutto una cosa: Ucraina. E’ preoccupata Marina Berlusconi della possibilità che buona parte dell’Ucraina possa essere data in pasto a Putin e che la nuova Yalta possa vedere trionfare la Russia? “La mia opinione su questa guerra è sempre stata una, e non è mai cambiata: la Russia ha invaso brutalmente un paese indipendente e libero. Per porre fine a questo terribile conflitto, sarà inevitabile un compromesso, ma sono assolutamente convinta che la fine della guerra non debba coincidere con la resa di Kyiv e la vittoria di Mosca. All’Ucraina spettano le garanzie necessarie per la sua sicurezza e la sua indipendenza. E’ un passaggio molto delicato, fondamentale anche per il nostro futuro: lasciar vincere la Russia creerebbe un precedente gravissimo, che darebbe ai regimi autocratici una sorta di via libera a occupare con la forza altri paesi. Putin, invadendo l’Ucraina, ha dichiarato definitivamente guerra ai valori occidentali. E l’Occidente ha risposto subito alla sfida, mostrandosi unito. Oggi, però, non sembra esserlo più. E se l’Europa verrà tagliata fuori dalla soluzione che sembra si stia profilando dovrà anche fare una seria autocritica”.
Marina Berlusconi, rispetto al rapporto d’amicizia
“Sono assolutamente antifascista, così come sono assolutamente anticomunista.
Non vedo come possa non esserlo chiunque dia il giusto valore alla storia. Le polemiche sulla necessità di dirsi antifascisti? Forzature”. Arriva il libro anti putiniano della Silvio Berlusconi Editore “La nostra posizione su Mediobanca e
Mps? Mi pare corretto quello che ha detto
Massimo Doris: ad esprimersi saranno i CdA. Mi lasci dire che, su questa partita come su tutte le altre – e in questo periodo ce ne sono davvero tante – qualsiasi cosa sceglierà il mercato sarà quella giusta”
Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e del gruppo Arnoldo Mondadori Editore, è la figlia primogenita di Silvio Berlusconi del papà con Vladimir Putin, ha molti aneddoti, molte storie da raccontare, molte discussioni, anche vivaci, che ricorda ancora oggi, con orgoglio e affetto. E viene dunque naturale chiedersi, spulciando nel catalogo della casa editrice dedicata a Silvio Berlusconi, la Silvio Berlusconi Editore, che cosa ci faccia il saggio di uno dei principali studiosi anti-putiniani. Si tratta di “La fine del regime” di Alexander Baunov, prima edizione internazionale del saggio che in Russia è divenuto una bandiera contro la dittatura, e sarà in uscita per la Silvio Berlusconi Editore il prossimo 25 febbraio. “Lei, direttore, ipotizza un contrappasso, ma non è così. Mio padre ha sempre fatto di tutto per avvicinare la Russia putiniana all’Occidente. E nell’ultimo periodo della sua vita diceva che Putin lo aveva deluso, che non era più l’uomo che aveva conosciuto. Anche per questo sono convinta che oggi gli farebbe piacere sapere che questo libro esce proprio per la Silvio Berlusconi Editore, che, come Gruppo Mondadori, abbiamo lanciato l’anno scorso con la missione di difendere i valori occidentali, a partire da quelli della libertà e della democrazia. La nostra casa editrice vuole dare voce proprio a questi valori, pubblicando tanti modi diversi di interpretarli e di raccontarli, anche quelli su cui possiamo non essere d’accordo, e mantenendosi sempre distante da qualsiasi forma di militanza politica”.