Il commento
segue dalla primaMa la spallata che l’ultra-destra sperava di dare al bastione Europa è sostanzialmente fallita. Non a caso, ora, è proprio tra le formazioni ultra — reazionarie che fermentano divisioni e polemiche.
La decisione di accelerare il processo di nomina dei vertici Ue è stata favorita da due fattori. Il primo è proprio la necessità di non mostrare debolezze ed esitazioni del fronte europeista, che Putin da due anni spera inutilmente di affievolire e di spaccare con la sua aggressione armata contro la democrazia ucraina. Il secondo è quello di mandare un messaggio politico agli elettori francesi prima del voto: l’Europa va avanti per la sua strada e non la cambierà quale che sia il governo in carica a Parigi. Come Macron ha detto implicitamente sciogliendo il parlamento, tocca alla Francia scegliere da quale parte della Storia vuole stare.
Lo stesso dilemma, paradossalmente, ora si presenta a Giorgia Meloni. La leader dell’estrema destra italiana sperava di vincere le elezioni in Europa costringendo il Partito popolare a scendere a patti con i suoi Conservatori per decidere le nomine Ue. Qualcuno nel Ppe, come il suo alleato Antonio Tajani di Forza Italia e i bavaresi della Csu, le ha anche fatto credere che il progetto fosse fattibile. Ma il piano è fallito. E ora la presidente del Consiglio ha urgenza di trovare un piano B. Voterà a favore di von der Leyen, Costa e Kallas domani al vertice europeo? Lo farà, dopo aver pubblicamente assicurato che non avrebbe mai accettato un’alleanza con i socialisti? Lo farà, anche dopo il trattamento da paria che le hanno riservato i suoi colleghi europei a partire dal G7? Oppure, essendo stata messa da parte, si farà lei stessa da parte con il risultato di accentuare l’isolamento politico dell’Italia?
Le basterà, per togliersi dall’imbarazzo, fingere dinegoziare con von der Leyen una delle molte vicepresidenze per il futuro commissario italiano, visto che quelle sono acquisite in modo quasi automatico per i grandi Paesi?
In attesa di conoscere il piano B meloniano al Consiglio, sarebbe interessante scoprire anche quale sarà il piano C al Parlamento europeo. Von der Leyen, dopo la nomina dei governi, dovrà essere eletta dagli eurodeputati. Popolari, socialisti e liberali hanno, sulla carta, la maggioranza per farlo. Ma il voto è segreto e la candidata potrebbe finire vittima dei franchi tiratori provenienti, soprattutto, dalla destra del suo stesso partito. Liberali e socialisti hanno già da tempo dichiarato che non vogliono nessun appoggio dai banchi dell’estrema destra. La pregiudiziale anti-Meloni è, se possibile, ancora più forte in Parlamento che in Consiglio. I Verdi, del resto, hanno già offerto il loro appoggio esterno in cambio del proseguimento del Green Deal. Anche qui Meloni sperava che i voti dei suoi deputati potessero risultare decisivi per la conferma di von der Leyen. Ora, però, non potrà dare il proprio supporto pubblicamente, a meno di non spaccare il gruppo conservatore, di inimicarsi il resto dell’estrema destra e di perdere la leadership politica della palude nazional-populista. Cercherà di mercanteggiare un accordo sottobanco allineandosi con partiti che l’hanno pubblicamente respinta? Oppure si metterà alla guida della Vandea reazionaria con il rischio di veder impallinato il suo candidato commissario in Parlamento (come avvenne a Berlusconi con Buttiglione)?
Per avere le risposte, basterà pazientare. In ogni caso, dopo tanto baldanzoso attivismo, Giorgia Meloni è riuscita a mettere se stessa, e purtroppo il Paese che rappresenta, in una classica loose-loose situation:qualunque scelta faccia, ha solo ed esclusivamente da perdere.