Ad ascoltare i due principali candidati alla segreteria del nuovo Pd, Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, si ricava l’impressione che su tantissime cose concordino, sia in positivo (che cosa vogliamo), sia in negativo (che cosa non va nel Pd). Entrambi sognano una società più giusta, attenta all’ambiente, ai diritti sociali e alle pari opportunità. Entrambi promettono un Pd popolare, radicato nel territorio, che torni a parlare con la gente. Entrambi auspicano un partito plurale, con un ricco dibattito interno. Entrambi deplorano il correntismo, che ha ammorbato l’anima del partito democratico e allontanato gli elettori.
Penso che nessuno, in campo progressista, possa dissentire su questi valori e principi di fondo. Credo però che, per tracciare la fisionomia del nuovo partito, sarebbe bene non fermarsi a queste dichiarazioni di intenti. Per farci un’idea sufficientemente precisa di quel che potrà essere il Pd di domani, occorrerebbe che i candidati si pronunciassero su almeno due nodi decisivi: la politica economico-sociale e la politica migratoria. Senza questa pronuncia, la sfida rischierà di giocarsi solo sull’immagine del leader, in barba alle ricorrenti critiche contro il populismo, il leaderismo, i partiti personali.
Ma quali sono, verosimilmente, le alternative in questi due campi cruciali?
Sul terreno della politica economico-sociale, occorrerà decidere una buona volta se la strada maestra è la redistribuzione del reddito, con conseguente aumento della pressione fiscale (a partire dall’imposta patrimoniale), o è l’alleggerimento delle imposte sui produttori, con conseguente spending review (o “lotta agli sprechi”).
Così come occorrerà pronunciarsi sull’autonomia regionale, agognata dalle regioni del centro-nord e temuta da quelle del sud, e sul reddito di cittadinanza, pomo della discordia fra le forze di sinistra. E pure occorrerà chiarire come si intendono combattere le diseguaglianze, che cosa si pensa del salario minimo legale e dei voucher, con quali strumenti si intende gestire la precarietà e la disoccupazione, se si è pro o contro la promozione del merito nelle scuole. Né guasterebbero parole non ambigue sul nucleare, sulle trivellazioni nel mare Adriatico, sul termovalorizzatore di Roma, sul rigassificatore di Piombino.
Il tutto senza dimenticare che la produttività è ferma da decenni, la crescita non è mai veramente ripartita dopo il 2007, il debito pubblico è alle stelle, il costo dell’energia è proibitivo.
E veniamo al problema migratorio. Qui incontriamo una delle maggiori ambiguità e carenze del Pd. Voglio ricordare, in proposito, che cosa diceva circa tre anni fa, poco prima dell’appuntamento delle Regionali, un riformista doc come Emanuele Macaluso: “sulla immigrazione e quello che vi ruota intorno, al di là degli slogan, io ancora non ho capito — e temo anche gli elettori — cos’abbia in testa il Pd”.
Già, che cosa hanno in testa i candidati segretari del Pd? Che cosa pensano di dire agli elettori che vivono in quartieri ad alta intensità migratoria? Sempre e solo accoglienza e integrazione, senza riguardo alla qualità dell’accoglienza, al funzionamento delle cooperative, al sovraffollamento degli hotspot? Comepensano di regolarsi con mezzo milione di irregolari?
E con i due milioni di immigrati che vivono sotto la soglia di povertà?
Di qui alcune domande politiche cruciali. Vogliamo proteggere solo i rifugiati, o riconosciamo a tutti — anche ai migranti economici — il diritto di entrare in Italia? Come pensiamo di combattere il traffico di esseri umani nel Mediterraneo? E la gestione degli sbarchi? La via maestra è fermare le partenze sulle coste africane, o redistribuire gli sbarcati fra i paesi europei? E gli sbarcati che non hanno diritto all’asilo?
Pensiamo di poterli ospitare in Italia, o crediamo di poter convincere gli altri paesi europei ad accoglierli?
Su questioni come queste non basta dire che sono complesse, che ci vuole più Europa, e che le soluzioni della destra sono semplicistiche. Perché la prima cosa che gli elettori valutano non sono le soluzioni (tutti sappiamo che non ve ne sono di immediatamente praticabili) ma è l’approccio al problema dell’immigrazione, la direzione in cui ci si muove. E i sondaggi rivelano verità scomode: sugli sbarchi la maggioranza degli elettori sta con il governo, e — sorprendentemente — la linea dura piace a circa un elettore del Pd su tre.
Certo, non possiamo pretendere che ogni candidato alla segreteria del Pd enunci un vero e proprio programma di governo. Ma, forse, almeno qualche indicazione di fondo sui grandi nodi della politica economica e sociale sarebbe benvenuta. Dopotutto, la sinistra di un tempo era anche questo: un campo largo in cui ci si confronta a viso aperto.