«Crimes of the future», l’amaro sapore della fine dell’umano
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25 Agosto 2022Narrativa Il nuovo romanzo dell’americana Sigrid Nunez (edito da Garzanti): trama essenziale e molta introspezione
Una donna accompagna l’amica malata verso il congedo. Ed è un inno alla vita
di Cristina Taglietti
Che cosa stai attraversando? Che cosa ti fa soffrire? È in queste domande che sta il senso di una parola oggi di moda come empatia? Una lunga, articolata, non pacifica risposta la offre la scrittrice americana Sigrid Nunez in un libro che Garzanti ha tradotto come Attraverso la vita e che nell’originale inglese è, invece, What are you going through (letteralmente: che cosa stai passando) . Un romanzo quasi senza trama, ambientato nel milieu letterario newyorkese, condotto da una narratrice in prima persona che racconta soprattutto le storie di altri, in particolare di un’amica scrittrice malata di cancro. Il titolo si ispira a una citazione di Simone Weil posta in epigrafe: «La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nel domandargli: “Qual è il tuo tormento?”».
Newyorkese di madre tedesca e padre metà cinese e metà panamense, docente a Princeton e Boston, Nunez è autrice di 7 romanzi, tra cui L’amico fedele (Garzanti) con cui nel 2019 ha vinto il National Book Award. Anche lì l’affresco duro e affascinante della scena culturale era lo spesso tessuto da cui emergeva il profilo di una trama esile, legata alla morte di un professore — prima amante, poi amico della protagonista — al cane che le lascia da accudire, a una serie di riflessioni sul senso ultimo dell’esistenza. Temi che tornano anche in questo romanzo in cui nessuno ha un nome, che si apre nel 2017 pre-Covid con una conferenza di «uno scrittore piuttosto noto che quello stesso anno aveva vinto un premio internazionale» sul futuro catastrofico che attende gli umani, dopo i danni inflitti alla Terra. L’oratore è un ex fidanzato della narratrice che in realtà si trova in città, ospite di un Airbnb, per fare visita a un’amica che non vede da tempo, ricoverata in ospedale. Come nei romanzi di Rachel Cusk, anche per Nunez l’io narrante sembra più una cassa di risonanza passiva di pensieri e azioni altrui (anche di un gatto parlante), un raccoglitore di storie, perlopiù femminili, a volte riportate con un certo sarcasmo, che si assottigliano a mano a mano che la malattia dell’amica senza nome progredisce, espandendosi sulla pagina.
L’amica, un’intellettuale dalla vita complicata e con un rapporto conflittuale con la figlia («mi sono riconciliata con l’idea di non essermi riconciliata con lei»), diventa vulnerabile: «So che sto morendo, ma quando me ne sto qui a letto a pensare, soprattutto di notte, spesso mi sembra di avere davanti tutto il tempo del mondo». Prima arrabbiata con sé stessa per essersi illusa, dopo le prime cure, che le cose potessero migliorare, poi decisa a prendere il controllo di ciò che le rimane, lucida organizzatrice della sua dipartita. «Quello che desidero veramente è trovare un luogo tranquillo, non necessariamente lontano; anzi, non dovrebbe essere troppo lontano, e neppure così speciale, solo un luogo dove possa stare in pace e fare le ultime cose che vanno fatte. E pensare gli ultimi pensieri…».
Fare una bella morte in una bella casa, in una città pittoresca, in una splendida cornice: questo il piano. La narratrice deve decidere che ruolo avere in quest’atto finale, se accettare la richiesta dell’amica di passare quel tempo insieme ed essere presente quando prenderà il farmaco oppure, come vorrebbe istintivamente, defilarsi. La decisione appare più difficile dell’accettazione della morte stessa, eppure «quando le avevo detto che avevo deciso di fare tutto quello che era necessario per aiutarla a morire, aveva provato un sollievo talmente grande da mettersi a singhiozzare. Pochi secondi dopo, mi scrisse di nuovo: “Ti prometto che farò in modo che sia il più divertente possibile”».
Con tono colloquiale, limpido, a tratti ironico (una volta arrivati nell’appartamento affittato per la fine, l’amica si rende conto di aver dimenticato a casa il farmaco che deve condurla alla morte), a tratti drammatico (l’allagamento della villa che costringe a ripensare a tutto il piano), Nunez si avvicina sempre di più al cuore complesso della questione esplorando gli strati sottili dell’esistenza, ricordando quel giorno del 1950 a Stoccolma, quando William Faulkner, ricevendo il premio Nobel, esortò gli scrittori a essere coraggiosi e a tornare alle antiche verità universali: amore, onore, pietà, orgoglio, compassione, sacrificio. «In assenza delle quali — ammonì il grande scrittore — il vostro racconto durerà solo un giorno».
Empatia, condivisione, conforto sono gli elementi su cui la scrittrice lavora evitando con cura ogni forma di patetismo o di facile conciliazione perché non è vero che in punto di morte si può perdonare tutto. Attraverso la vita non è un libro angosciante, cupo o triste, dà senso a una parola come compassione nella sua accezione etimologica e ne rivela i doni inaspettati: nel giro di una settimana il rapporto tra le due donne cresce al punto da eclissare l’amicizia della giovinezza e la nuova intimità rende intollerabili segreti e menzogne.
All’ossatura principale del romanzo incardinata nella vicenda dell’amica malata si sovrappongono, in modo non sempre immediato, altre narrazioni: ricordi buffi («come quella volta in metropolitana che un tale continuò a sorridermi, io mi chiedevo cosa volesse, finché non si è sporto in avanti presentandosi. Una dozzina di anni prima, appena finiti gli studi, eravamo andati a vivere insieme»), riflessioni, gossip, abitudini sessuali, figli, libri, scrittori, film. Il risultato è un inventario della quotidianità e dello scorrere del tempo che parla della vita molto più che della morte.