Sulla mancata comunicazione dell’allerta ricevuta su possibili attentati l’ex generale ha spiegato: “ Avevo da fare”
di Luca Serranò
Ci sono dichiarazioni di collaboratori di giustizia e testimonianze di ex ufficiali dei carabinieri a formare il quadro d’accusa nei confronti del generale Mario Mori, già comandante del Ros e direttore dei servizi segreti. Per la procura di Firenze non ha impedito le stragi del 1993 nonostante avesse ricevuto informazioni sul progetto di attentati di Cosa nostra e quindi, per gli inquirenti, non ha avvisato i magistrati delle notizie di reato che avevaavuto. Per questo motivo Mori è indagato e ieri è stato convocato per essere interrogato. Si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ma la struttura d’accusa ruota sulle rivelazioni dell’infiltrato Paolo Bellini, sulle dichiarazioni di Angelo Siino che riporta le confidenze del mafioso Antonino Gioè, sulle ricostruzioni del maresciallo Roberto Tempesta e su un nuovo esposto denuncia del colonnello Michele Riccio.
Sentito a Firenze il 17 maggio 2023, l’ex capo del Ros ha confermato di non aver riferito all’autorità giudiziaria le rivelazioni di Bellini — apprese col tramite del maresciallo Roberto Tempesta-, spiegando di non averlo fatto neanche dopo la strage di via dei Georgofili il 27 maggio 1993. Hainoltre sostenuto di aver distrutto il biglietto a cui faceva riferimento Tempesta. Poi, alla richiesta di spiegazioni sul perché avesse trascurato la pista investigativa: « Avevo altro da fare in quel periodo».
Sentito nel corso dell’inchiesta anche il maresciallo, secondo cui Mori nell’agosto 1992 era stato informato delle “ soffiate” di Bellini, compreso il progetto di possibili attentati alla Torre di Pisa e a monumenti nazionali. Tempesta ha detto di aver consegnato a Mori il biglietto contenente nomi per i quali Cosa nostra chiedeva l’ottenimento di benefici: l’ex capo del Ros, però, gli avrebbe detto di non predisporre relazioni di servizio.
Un altro capitolo riguarda poile confidenze di Siino, su cui a lungo si sono soffermate le indagini dei pm Luca Tescaroli, Luca Turco e Lorenzo Gestri. Secondo la ricostruzione, agli inizi del 1993 Gioè, a Rebibbia, incontrò Siino, e gli confidò che Leoluca Bagarella e i boss Graviano si stavano muovendo anche in ragione « di un rapporto con i Servizi che passava proprio attraverso Gioè». Quest’ultimo (trovato morto nella notte fra il 28 e il 29 luglio del ‘ 93 a Rebibbia) avrebbe detto a Siino che Leoluca Bagarella avrebbe dovuto incontrarlo per avviare contatti con Craxi, e che lo stesso Bagarella stava assumendo posizioni dominanti in Cosa nostra dopo l’arresto di Riina — tanto da intimorire anche Provenzano-, progettando azioni eclatanti in danno di monumenti ed edifici di interesse artistico, tra i quali la Torre di Pisa. Gioè avrebbe inoltre fatto trovare a Siino un biglietto in cui erano scritti gli attentati che dovevano essere compiuti. Un progetto « di mettere sottosopra l’Italia » di cui il Ros, il 25 giugno 1993, venne a conoscenza. Senza però conseguenze concrete.
Nell’indagine su Mori ( assolto in via definitiva per la trattativa Stato- mafia), infine, spunta anche un esposto presentato sempre a Firenze, circa un anno fa,dal colonnello Michele Riccio. Un esposto in cui Riccio accusa il generale di aver boicottato l’indagine sui mandanti esterni, e di avergli di fatto impedito di proseguire proficuamente il rapporto con Luigi Ilardo, assassinato a Catania il 10 maggio 1996: Mori, tra le altre cose, gli avrebbe negato l’autorizzazione ad affrontare con il suo confidente il tema della politica, facendo sparire venti delle sue relazioni con riferimento ai dialoghi intercorsi con Ilardo. Le accuse riguardano anche il presunto boicottaggio per impedire una collaborazione che avrebbe fornito accuse nei confronti di Dell’Utri e di Berlusconi, anche in riferimento alle stragi.