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Il Dicastero per la Cultura e l’Educazione inaugura domani un convegno con le voci di teologi da tutto il mondo Il cardinale Tolentino: «Il futuro è corale Abbiamo bisogno di una intelligenza comunitaria»
Si intitola “Eredità e immaginazione” il congresso internazionale organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, esplicitamente dedicato al “futuro della teologia”. A Roma nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense (dopo una udienza con papa Francesco in Vaticano) domani e il 10 dicembre si confronteranno cinquecento teologi provenienti da tutti i continenti. Il programma è articolato in tre tappe: il “dove”, il “come”, il “perché” della teologia, con interventi di esperti provenienti da sette aree geografico- ecclesiali (Africa, Asia, America del Nord, America del Sud, Europa, Oceania, Chiese Orientali). Si tratta di un convegno che non è eccessivo definire storico, perché per la prima volta è coinvolta, con un numero di partecipati così rilevante, l’intera geografia della teologia cattolica. Ma è anche un convegno innovativo nel processo e nella forma, dando spazio all’ascolto “di logiche non teologiche” attraverso l’intervento – proprio nel punto di snodo del programma – dello scrittore Éric-Emmanuel Schmitt, del fisico Carlo Rovelli, della regista Alice Rohrwacher e della compositrice australiana Maeve Louise Heaney. « L’idea è che sia un’esperienza di mutuo incoraggiamento, contrastando l’isolamento e la frammentazione » spiega il cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero, a cui abbiamo chiesto di approfondire spirito e significato del convegno: «C’è una “mistica dell’insieme” che ci richiede una sorta d’intelligenza comunitaria. Immaginare può essere un gesto collettivo».
Il “futuro della teologia” può sembrare un obiettivo ambizioso. Eminenza, cosa cerca questo convegno?
«Il convegno “cerca”, appunto. Da una parte, significa che spera di trovare. Infatti, chi semina, semina nella speranza. La speranza è l’innesco del coraggio di esporsi alle domande, muoversi, uscire del routinario per poi rientrarvi diversi e diversamente abitare se stesso. Abbiamo tanti motivi per sperare in questo incontro, poiché l’intelligenza accesa di quasi 500 persone si troveranno insieme: una piccola galassia di menti, cuori e mani. D’altra parte, se il convegno “cerca”, allora non ha ancora trovato. In effetti è stato allestito per mettere tutti nella condizione di cercare, di mettersi davanti alle nude domande della contemporaneità senza risultati già confezionati. Insomma, siamo insieme in uno stato di sorpresa, cioè disponibili ad “essere presi da sopra”, anche da dove non ci si aspetterebbe».
Come leggere tutto questo all’interno del quadro disegnato da Veritatis gaudium, la costituzione apostolica di papa Francesco circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche?
« Il convegno è mosso dalla spinta del Proemio di Veritatis gaudium. Si tratta di un testo di grande respiro che vogliamo riprendere. In quelle pagine, papa Francesco incoraggia a praticare con creatività la teologia, affinché assuma le forme più adatte al presente e al futuro. La teologia non si può conformare a una clandestinità culturale. La teologia è troppo importante perché resti emarginata o silenziata. La Chiesa e il mondo hanno bisogno della teologia. E la teologia non può accettare accantonarsi come sapere destinato a pochi. Anzi è chiamata a un dialogo a tutto campo, a una generosa e aperta sinergia, un’autentica cultura dell’incontro».
Vi si legge anche l’eredità attiva del Sinodo.
«Le due recenti assemblee sinodali sono ben presenti nel convegno. Infatti, per permettere a teologi e teologhe (di ogni dove!) di essere ascoltati e di ascoltarsi, si è adottato la metodologia della conversazione nello Spirito. Cerchiamo perciò di fare teologia già in forma sinodale. E soprattutto portiamo al cuore quanto è stato dichiarato nel documento finale del sinodo riconoscendo il contributo all’intelligenza della fede e al discernimento del Popolo di Dio offerto dalla teologia nella diversità delle sue espressioni».
Cultura ed educazione: in che modo questo convegno illumina la linea del Dicastero rispetto al mondo delle università e della ricerca?
«Il convegno mostra un tratto dello stile di cui il Dicastero cerca di dotarsi. Possiamo dire che questo momento rappresenta la foce di un fiume di ascolto. Dalla sua istituzione, poco più di due anni, il Dicastero non ha smesso di ascoltare le Chiese locali e i suoi pastori e di raccogliere le voci dei vari attori della ricerca, dell’insegnamento e dello studio della teologia di tutto il mondo. Ciò ha permesso di avere maggiore consapevolezza della realtà che, come il Santo Padre ricorda, è sempre superiore all’idea. Vorremmo che il convegno, con il concorso di tutti, svegliasse una intelligenza generativa e comunitaria, dentro e fuori dello spazio ecclesiale».
Al centro del convegno c’è il patrimonio delle teologie locali. Per molte ragioni storiche le espressioni culturali del cattolicesimo nel mondo sono state spesso un rimando – in alcuni casi fino all’assimilazione – a quelle da una parte della storia culturale europea e dall’altra all’identità più specificamente “romana”. Lo stesso papa Francesco ha recentemente ribadito che «la Chiesa è ancora troppo eurocentrica ». Questo convegno spinge a ripensare e rileggere il termine “cattolico”?
«“E dove, ora? Quando, ora? Chi, ora?”. Così inizia uno dei romanzi più difficili, attraenti e mistici della letteratura del ’900, L’innominabile di Samuel Beckett. Effetti-vamente la letteratura se n’è accorta: la risposta alla domanda “chi sei?” è del tutto irreale se non attraversa quella del “dove sei?”, “dove abiti?”. Ne erano consapevoli i discepoli del Battista, interessati a Gesù. Non interrogarono Cristo sulla sua identità, ma sulla sua abitazione: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?” (Gv 1,38). Questa evidenza antropologica non può non valere anche per la teologia. Fare teologia come se il luogo, il “dove” non fosse rilevante significa fare una teologia senza corpo. Ecco perché il comitato scientifico del convegno rispecchia le varie zone geografico-teologiche della Chiesa intera. Essere sordi ai luoghi di nascita delle teologie significa amputare siffatta cattolicità».
Il “secondo movimento” del convegno appare come una sorta di interludio in cui si è chiamati a dare ascolto a “logiche non teologiche”, con ospiti illustri dalla scienza e dalle arti e una performance musicale. Qual è il senso di questo momento? Quale invito rivolge al modo in cui la teologia pensa e si pensa, anche in termini culturali?
«Questo aspetto del convegno è stato direttamente ispirato dalla Costituzione Apostolica Veritatis gaudium che insiste sulla necessità dell’interdisciplinarità e transdisciplinarità nella teologia. Quanto auspicato per la teologia non è un trattato di non belligeranza o un rapporto di buon vicinato tra saperi, ma una fermentazione attivata dall’intreccio delle sensibilità tipiche di ogni genere di conoscenza. Non si tratta di turbare i quadri epistemologici delle differenti discipline ma di creare territori di convivialità e dialogo. Perché – dobbiamo riconoscerlo – la chiamata è a essere più arcipelago che isola, più costellazione che astro isolato. Anche in termini culturali: il nostro tempo ha bisogno di nuove grammatiche dell’umano, di modelli di razionalità condivisa. La teologia ha un contributo prezioso nella ricerca odierna di nuovi paradigmi di razionalità che servano davvero il bene comune. Il futuro è corale, non monodico».