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«Pionieri» e «novizi» invece che maestri Ma ai ragazzi servono musica, spazi, vita
di Susanna Tamaro
In questi giorni di piogge continue e abbondanti, che sembrano voler riparare il grave danno di una lunga stagione siccitosa, mi sono imbattuta sul web in un documento altamente inquietante, il Piano Scuola 4.0. Non sono una volpe della navigazione e dunque il primo pensiero che ho avuto — e che speravo fosse valido — è che fosse una fake news. Purtroppo però l’abbondanza di termini inglesi, il pomposo fraseggio atto a mascherare la fumosità degli intenti, fanno intendere che si tratti davvero di un programma di riforma della scuola italiana che riguarda l’intero ciclo di studi, dagli asili all’università, secondo le linee di investimento previste dal Pnrr. Un programma che dovrà avvenire in quattro passaggi: Background, il primo, Framework, che unisce il secondo e il terzo e, da ultimo, Roadmap.
Per una persona nata a metà del secolo scorso, come me, questi passaggi risultano piuttosto oscuri e ancora più oscuro mi appare il modo di realizzarli. Per fortuna, gli estensori del programma sembrano avere idee ben chiare. Per la piena attuazione del piano, infatti, i docenti dovranno essere divisi in sei livelli di competenza digitale. A1, Novizio; A2, Esploratore; B1, Sperimentatore; B2, Esperto; C1, Leader: C2, Pioniere, tutti termini che sembrano proiettarci in una dimensione sospesa tra la vita monastica, le Giovani Marmotte, il Piccolo Chimico e la Conquista del West e che fanno sorgere anche alcune domande: il Pioniere, ad esempio — cioè colui che va a esplorare terreni sconosciuti — avrà più poteri del Novizio, in paziente attesa di venir accettato nel Sacro Ordine? E l’A2 e il C2 non rischiano di sovrapporsi in qualche modo? E quali passi si dovranno compiere per passare dal B2, Esperto, al C1, Leader? Ma la domanda fondamentale è questa: che ne sarà della dignità degli insegnanti, già ampiamente bistrattati? Arrancheranno di corso in corso, di aggiornamento in aggiornamento per ottenere l’agognata promozione? E quale sarà il destino degli allievi, spinti fin dall’asilo a una deriva virtuale che li renderà sempre più estranei a loro stessi e alla realtà fisica del mondo che li circonda?
L’obiettivo del Next Generation Classrooms è quello di adattare centomila aule di primo e secondo grado alla progettazione di nuovi «ecosistemi di apprendimento» che dovranno avvalersi «delle pedagogie innovative quali apprendimento ibrido, pensiero computazionale, apprendimento esperienziale, insegnamento delle multiliteracies e debate, gamification». E qui mi fermo. Questa selva di termini a me sconosciuti nella loro funzione reale mi mette una certa angoscia anche perché, dato che scrivo libri per bambini da trent’anni e ho molti amici insegnanti, conosco abbastanza bene la situazione della scuola italiana.
Il programma prevede di «ridisegnare i sistemi di apprendimento, al fine di rendere sostenibile il processo di transizione digitale» attraverso l’abolizione delle aule rettangolari in quanto, secondo «studi scientifici internazionali», nocive all’apprendimento. Con il rettangolo se ne vanno via anche i banchi e le sedie e le cattedre, gli alunni dovranno fluttuare nel tristemente luminoso acquario del metaverso.
Come ben sappiamo, la situazione dell’edilizia scolastica in Italia è perlopiù catastrofica. Edifici vecchi o costruiti con materiali scadenti, privi di sistemi di areazione, arredi obsoleti, una classe di insegnanti di età piuttosto avanzata. Docenti che, oltre ad aver ormai perduto il rispetto sociale che un tempo veniva loro tributato, sono anche sommersi da una vergognosa mole di burocrazia da parte dello Stato. Mole che, nel tempo, è diventata un blob incontrollabile grazie all’assurda riforma che ha trasformato la scuola in azienda; ogni istituto infatti deve proporre un Pof (Piano dell’offerta formativa) più attrattivo possibile perché il Pof del vicino è sempre più verde.
Una volta i bambini frequentavano le scuole dell’obbligo nel quartiere o nel paese dove vivevano, ora vengono fatti muovere come meteore alla ricerca dell’istituto più performante dei dintorni.
L’idea che la scuola sia il luogo dove si educa e dove si imparano le umilissime basi del sapere è evaporata sotto la scure di riformatori, ansiosi di mostrarsi all’altezza dei tempi.
Ora, se questo sistema funzionasse, avremmo bambini e ragazzi che sanno parlare e scrivere bene, che conoscono la storia, le basi della matematica, della geografia e della biologia: avremmo allievi sicuri di sé, curiosi e aperti al mondo. Ma i dati ci dicono che la situazione, già grave prima del Covid, dopo la frattura della Dad è semplicemente precipitata. I disturbi psichiatrici sono in vertiginoso aumento, e travolgono ormai tutte le età dello sviluppo umano. Ci sono classi in cui la maggior parte degli allievi sono «certificati» per qualche disturbo psichiatrico. Autolesionismo, disordini alimentari, alcolismo, uso di droghe, depressioni, tentati suicidi e il fenomeno sempre più diffuso dei ragazzi hikikomori ci parlano di una realtà malata che questi programmi sembrano totalmente ignorare.
Dunque forse è venuto il momento di cominciare a dire: io non ci sto. La nostra lunga storia evolutiva — vale a dire ciò che ci lega alla realtà — è quella di una specie che trova il suo equilibrio nella socialità. E socialità vuol dire, prima di ogni altra cosa, fisicità, contatto, fare delle cose insieme, imparare delle abilità manuali sempre più complesse, mettersi alla prova ed essere orgogliosi di riuscire a superare ostacoli con le proprie forze. Il cervello umano si sviluppa, come quello di tutti i mammiferi, per fasi successive di apprendimento e, se la finestra non è aperta quando arriva lo stimolo giusto, quella finestra si chiude per sempre. Muovere le mani per fare qualcosa è molto diverso dal muovere i polpastrelli su uno schermo. Questa sorta di cecità cerebrale, nella quale con totale inconsapevolezza stiamo spingendo i cuccioli della nostra specie, a cosa serve se non a farne dei perfetti schiavi digitali del futuro?
Le possibilità che ci offre la tecnologia avanzata sono straordinarie e io ne ho una piena ammirazione, ma sono altrettanto consapevole che imporle fin dalla prima infanzia come via maestra dell’apprendimento sia deleterio. Molti genitori, infatti, incominciano ad accorgersene, e per questo si vedono nascere sempre più frequentemente — ce n’è una persino nel piccolo paese in cui vivo — delle «scuole parentali». Sono piccole realtà nate non dal ghiribizzo di qualche pedagogo d’avanguardia ma dal buonsenso di padri e madri consapevoli dei danni che questo sistema provoca all’intelligenza e all’umanità dei loro figli.
Una società che avesse davvero a cuore il proprio futuro, stanzierebbe quegli stessi fondi per creare, ad esempio, spazi verdi intorno alle scuole, dato che i bambini hanno totalmente perso il contatto con il loro corpo, aiutandoli così a riconquistare la dimensione fisica, con il gioco, le arrampicate, le capriole, la corse. E oltre a ciò, dovremmo occuparci della loro crescita interiore, stimolando la loro capacità di osservare e scoprire tutto ciò che è bello, attraverso lo studio, ad esempio, della pratica della musica che, per la sua stessa natura, rende felici le persone. Un coro in ogni scuola sanerebbe molti disturbi comportamentali.
Anni fa, ho letto l’intervista di un grande archistar, famoso per aver creato degli avveniristici e inquietanti casermoni popolari.
Il fine di questi edifici, spiegava, era quello di restituire al «proletariato» la sua vera dimensione, che era quella di vivere senza l’ipocrisia dell’intimità borghese. Ma quando poi l’intervistatore gli aveva chiesto dove abitasse, il famoso architetto aveva candidamente risposto che viveva in un bel palazzo ottocentesco nel centro di una capitale europea, pieno di divani, tappeti, pareti insonorizzate e tutto ciò che può rendere una casa confortevole.
Non assistiamo un po’ alla stessa cosa nel campo dell’educazione? Da anni ormai l’educazione è stata sostituita dall’istruzione e il livello di istruzione proposto dal piano del Pnrr — dal Pioniere, all’Esploratore all’Esperto — è priva di qualsiasi riferimento alla complessità dello sviluppo umano e della pienezza della persona. Su questa istruzione, inoltre, si posa l’ombra cupa dell’indottrinamento e della totale scomparsa dell’insegnante, trasformato in mera funzione. Funzione che, in un tempo non molto lontano, verrà sostituita da una figura virtuale al di là di uno schermo.
È bene a questo punto ricordare che gli ideatori di queste magnifiche sorti e progressive del mondo dell’eduverso della Silicon Valley, come il noto architetto che ben si guardava dal vivere nelle sue ideologiche costruzioni, si premurano di mandare i loro figli rigorosamente a scuole steineriane o montessoriane, realtà cioè dove viene sviluppata in modo creativo l’intera personalità del bambino.