di Veronica de Romanis
Che cosa avvenne veramente nelle settimane che precedettero la caduta del governo Berlusconi nel 2011? Ieri su questo giornale, Flavia Perina ha ben spiegato i motivi per cui non ci fu un complotto dal punto di vista politico. Vale la pena ricordare che non ci fu un complotto neanche dal punto di vista economico, con l’azione orchestrata da indefiniti poteri internazionali, tra cui la Banca centrale europea. Chiarire questo punto, non è solo una questione di verità storica. Nell’attuale fase, così delicata, comprendere i meccanismi della politica monetaria europea è fondamentale perché consente di non replicare gli errori del passato.
L’analisi di ciò che accadde nell’estate del 2011 deve, necessariamente, partire dalla famosa lettera che l’Istituto di Francoforte inviò il 5 agosto all’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Due pagine firmate dal presidente, Jean-Claude Trichet, e dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, per affermare che era “necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori”. Come fare? La ricetta era sempre la solita: dal lato dei conti pubblici, il pareggio di bilancio, ossia il disavanzo pari a zero, doveva essere anticipato di un anno, dal 2014 al 2013; dal lato delle riforme, l’elenco comprendeva una serie di misure rimaste – dodici anni dopo – ancora inattuate, a cominciare dalla concorrenza: neanche Draghi, una volta a Palazzo Chigi, c’è riuscito, il dossier sui balneari ne è la riprova. Tornando alla lettera, è importante precisare che tale corrispondenza fa parte della normale interlocuzione tra l’Istituto di Francoforte e gli Stati nazionali. Negli stessi giorni, dell’estate del 2011, ne veniva mandata una anche al governo spagnolo. Nessuno gridò al complotto. C’è, poi, un altro aspetto da rilevare. La lettera della Bce arrivava come controparte all’impegno della Bce di sostenere il nostro Paese con l’acquisto di titoli previsto dal Securities Markets Programme (Smp). Il programma era stato lanciato a fine maggio 2010 con lo scopo di contenere la tensione nei mercati dei titoli di Stato dei cosiddetti “Piigs”, brutto acronimo (in inglese pigs significa maiali) coniato dalla stampa anglosassone per indicare i Paesi all’epoca in difficoltà, ovvero Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.
Nell’arco di due anni, questa era la durata del programma, la Bce ha comprato 218 miliardi di titoli, di cui la metà – per la precisione 102,8 miliardi – italiani, 44,3 spagnoli, 33,9 greci, 22,8 portoghesi e 14,2 irlandesi. L’Smp terminò nel settembre del 2012 quando fu introdotto l’Outright monetary transactions (Omt), uno strumento di politica monetaria più potente – gli acquisti sono teoricamente illimitati – ma non incondizionato: la Bce scende in campo solo in cambio di riforme e conti in ordine, esattamente ciò che veniva chiesto all’Italia nella lettera del 2011. L’Omt era stato annunciato da Draghi nel luglio dello stesso anno con il famoso Whatever it takes. La frase piace tanto a chi ha responsabilità di governo ma – probabilmente – ne dimentica l’aspetto fondamentale, cioè l’esistenza di severe condizionalità. Per inciso, anche l’ultimo strumento introdotto nel 2020 da Christine Lagarde, il Transmission Protection Instrument (Tpi), non è incondizionato. La Bce interviene in soccorso delle economie in cui i rialzi dei tassi di interesse non sono giustificati dai fondamentali economici. E lo fa acquistando debito pubblico solo a patto che sia soddisfatta una serie di criteri, tra cui il rispetto delle raccomandazioni europee circa l’attuazione delle riforme e la sostenibilità dei conti pubblici. Il Tpi, alla stregua degli altri strumenti adottati durante la pandemia, a cominciare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è associato al rispetto di vincoli stringenti. Chi invoca il complotto vuole solo continuare a credere alla favola dei pasti gratis.