L’impianto repubblicano della Francia si salva, ma archivia la Quinta Repubblica voluta dal generale De Gaulle. La sera del 9 giugno scorso, annunciando a sorpresa lo scioglimento della Camera dei deputati come conseguenza del vittorioso 31% del Rassemblement national alle elezioni europee, il presidente francese Emmanuel Macron aveva invocato la necessità di un «chiarimento della situazione politica». Ieri sera la risposta degli elettori al secondo turno è stata netta. Malgrado l’avanzata dell’estrema destra e dei suoi alleati al primo turno del voto legislativo, il 30 giugno, il risultato del ballottaggio conferma che una grande maggioranza di francesi non vuole consegnare il Paese al partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Il Rn realizza comunque il miglior risultato della sua storia con un minimo di 132 eletti ma in virtù di una forte mobilitazione (67, 5%) e di una desistenza tra sinistra, centro e destra repubblicana che non sembrava scontata fino a pochi giorni fa, il Rassemblement ancora una volta – dopo la sconfitta di Jean-Marie Le Pen alle presidenziali del 2002, e della figlia Marine nel 2017 e 2022 – non riesce a raggiungere la soglia dei 50% dei votanti per vincere la partita.
Verosimilmente le sortite xenofobe e filo Putin di troppi candidati in campagna elettorale nonché un’immagine di incompetenza della sua classe dirigente hanno vanificato parte del lavoro intrapreso da Jordan Bardella e Marine Le Pen per “dediabolizzare” il partito. Ieri sera, in una Francia estremamente tesa, dopo una campagna segnata dalla violenza politica e da toni minacciosi e razzisti, con la polizia schierata in primo luogo a Parigi per prevenire potenziali disordini all’annuncio dei risultati, i principali esponenti dei partiti che avevano fatto appello a un fronte repubblicano per bloccare il Rassemblement hanno espresso sollievo più che soddisfazione. In sostanza, la Francia ha resistito alla tentazione della forza antisistema. Ma le elezioni del 2024 segnano l’esaurimento delle istituzioni così come le aveva immaginate De Gaulle, quelle istituzioni che avevano lo scopo di garantire al Paese una stabilità politica soprattutto attraverso la figura possente del capo dello Stato e l’emarginazione delle forze estremiste. Tornato al potere nel 1958 in piena guerra d’Algeria, il capo della Francia libera durante la guerra contro la Germania nazista aveva pensato un sistema semi-presidenziale su misura per mettere fine all’instabilità di governo della Quarta repubblica (ventiquattro presidenti del consiglio in dodici anni, dal 1946 al 1958). Per De Gaulle, superare le divisioni politiche e realizzare l’unità nazionale erano le condizioni indispensabili per ridare lustro al Paese dopo il secondo conflitto mondiale. «Ho proposto al Paese di fare la Costituzione del 1958 nell’intento di mettere fine al regime dei partiti», avrebbe spiegato il generale nel 1962 introducendo l’elezione diretta del Presidente. Lo scrutinio maggioritario a due turni, adottato con l’obiettivo di assicurare maggioranza nette ma anche di impedire all’allora potente partito comunista francese l’accesso al potere, ha funzionato a lungo e ha permesso alla Francia di presentarsi sulla scena internazionale con una stabilità politica notevole e al tempo stesso con la garanzia dell’alternanza politica. Solo otto presidenti della Repubblica in sessanta sei anni di esistenza.
Per tre volte il sistema della Quinta Repubblica ha resistito anche al cambiamento di maggioranza alla Camera nella forma della “coabitazione”, quella tra François Mitterrand e Jacques Chirac dal 1986 al 1988, quella tra lo stesso Mitterrand e Edouard Balladur (dal 1993 al 1995) e l’ultima, tra Chirac e Lionel Jospin, tra il 1997 e il 2002. Malgrado alcuni diverbi, la coesistenza tra personalità di schieramenti avversi ha funzionato ed è stata apprezzata dai francesi. Il voto di ieri, 7 luglio 2024, marca la fine di una fase istituzionale iniziata al termine degli anni’50 che ha permesso alla Francia di mantenere a lungo con la sua stabilità politica, l’illusione di essere ancora una grande potenza sullo scacchiere internazionale. Il risultato del secondo turno delle legislative proietta il Paese in una dimensione politica inedita, per nulla adattata alle sue istituzioni e alla sua polarizzazione. L’esito del voto, che premia il Nuovo Front Populaire (e in particolare la France Insoumise, la sua frangia più radicale) e vede la maggioranza presidenziale di Emmanuel Macron registrare un risultato inaspettato, dovrebbe spingere queste forze che fino a poche settimane si scontravano quasi sistematicamente su qualsiasi argomento a cercare di formare una maggioranza con l’eventuale appoggio della destra moderata. Nell’impossibilità di sciogliere di nuovo la Camera dei deputati prima di un anno, queste forze dovranno stabilire accordi per sbloccare l’impasse istituzionale. “Bisognerà essere creativi” hanno buttato là diversi esponenti del Nouveau Front Populaire. I più positivi vogliono vedere nella necessità di negoziare un patto di governo tra partiti di orientamento diverso una forma di maturità della democrazia francese sul modello di altri Paesi, a cominciare dalla Germania delle coalizioni grandi o piccole.
Ma questo scenario reintrodurrebbe quei fragili compromessi tra partiti che il generale De Gaulle aveva voluto superare con la Costituzione della Quinta Repubblica. E, soprattutto, la nuova stagione che si apre oggi rischia di fare il gioco del Rassemblement che si è sempre presentato davanti agli elettori come un partito antisistema. La prospettiva di un governo tecnico appare ancora più complicata, dal momento che il capo dello Stato non ha un ruolo di arbitro (in virtù della Costituzione presiede in particolare il consiglio dei ministri).
Nella visione di De Gaulle le istituzioni forti, costruite attorno alla figura di un presidente della Repubblica legittimato dal voto popolare e con un sistema elettorale che favorisce maggioranze chiare, dovevano garantire l’unità del Paese. La Francia invece si è ritrovata ieri sera con un estrema battuta ma mai tanto forte, un Emmanuel Macron impopolare e indebolito dalla scelta di sciogliere la Camera, una maggioranza quasi introvabile e un Paese che si scopre incredibilmente frammentato.