Diciassettemila negozi scomparsi in dieci anni in 14 grandi città, uno su dieci dal 2013 ad oggi. Alcuni battuti dalla concorrenza delle vendite online, altri affossati dai costi in aumento oppure spinti fuori città dalla gentrificazione che pesa sui canoni d’affitto. A scattare la fotografia è un’analisi dei dati di Infocamere, forniti al Sole 24 Ore del Lunedì, sulle attività di commercio al dettaglio registrate nei comuni delle città metropolitane: il 16% degli esercizi cancellati ha chiuso le serrande nei grandi centri, rispetto a un totale di circa 104mila attività perse nel decennio su scala nazionale.
E-commerce e turismo
Lo stock di esercizi commerciali nelle 14 grandi città prese in esame è sceso del 9% tra il 2013 al 2023, con un trend più contenuto rispetto a quello generale pari al 12 per cento. Le flessioni più severe si rilevano a Bari (-22%), Roma (-18%) e Torino (-17%). In controtendenza, invece, ci sono Milano (+3%) insieme a Napoli (+7% con 1.786 nuove imprese registrate) e Reggio Calabria (+5%).
«Milano, Napoli e Roma – spiega Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi Confcommercio – sono città policentriche. In particolare tra i 15 municipi della Capitale ci sono differenze socio-economiche gigantesche». Determinante – anche all’interno dello stesso territorio – la dimensione turistica: «Si cominciano a denunciare gli effetti negativi dell’overtourism, ma sicuramente la densità commerciale si riduce meno dove la capacità di attrazione della struttura cittadina è maggiore», commenta il direttore di Confcommercio. Più scontato l’impatto dell’e-commerce sulla crisi dei negozi: «Le città stanno soffrendo – aggiunge Bella – per la quota di commercio passata dalla dimensione fisica a quella digitale. Incide anche la perdita di potere d’acquisto dei consumatori che oggi, per alcune categorie di beni, cercano soluzioni più economiche». La pandemia, poi, ha accelerato la flessione: «Il Politecnico di Milano ha stimato che tra il 2019 e il 2024 il valore dei beni venduti online sia salito a 17 miliardi di euro in Italia. L’e-commerce comunque non va sempre considerato in modo negativo: alcune piccole realtà hanno tratto benefici dalle vendite online», continua Bella.
Arredamento e moda in crisi
Dall’analisi per tipologia di negozio emergono i trend più marcati: nelle grandi città sono spariti oltre 2mila negozi di mobili e arredamento, 1.198 ferramenta, 1.400 edicole, più di mille cartolerie. La moda è tra le categorie più colpite con circa 5.500 esercizi persi nei 14 centri, di cui oltre 4.300 negozi di abbigliamento (pari al 25% delle attività chiuse) e quasi 1.150 di calzature e articoli in pelle. Anche sulla moda pesano il calo dei consumi e la concorrenza dell’e-commerce: la crisi si è acuita negli ultimi quattro anni quando, secondo Federmoda, il settore nel suo complesso ha detto addio a 11 negozi al giorno.
Tornando ai dati Infocamere relativi alle maggiori città italiane, la sola Roma ha perso in dieci anni 2.500 negozi tra abbigliamento e calzature e quindi circa uno su tre del totale di quelli iscritti al Registro imprese al 31 dicembre 2013. Nella Capitale, però, sono cresciuti i grandi magazzini che devono avere una superficie di vendita di almeno 400 mq e cinque distinti reparti di vendita di prodotti non alimentari: le imprese registrate sono salite dell’85% passando da 50 a 92.
Grandi magazzini
In generale, i grandi magazzini nelle maggiori città sono più che raddoppiati (+133%) con un aumento di 118 unità, e rappresentano una delle tipologie di commercio al dettaglio che nel decennio preso in analisi è cresciuta. In aumento anche lo stock di ipermercati (+33%), supermercati (+7%) e soprattutto discount alimentari (+95%), a cui fa da contraltare la perdita di 494 panifici e di 933 macellerie. Più “resistenti” invece le pescherie, che hanno perso solo 20 unità complessivamente nelle 14 città prese in esame.
In crescita, infine, anche tabaccai, farmacie e aziende di commercio al dettaglio per corrispondenza o attraverso internet (+198%). «Lo sprint di quest’ultima categoria – conclude Bella – riflette la voglia dei dettaglianti di adeguarsi alle nuove preferenze di consumo e vendere anche online». Il direttore dell’ufficio studi conferma i movimenti centripeti che stanno portando alcuni negozi fuori città: «Settori come quelli dell’arredamento o dei giocattoli sono spariti dalle città perché si sono ricollocati in contesti ad hoc, come i centri commerciali». La diffusione delle grandi insegne nell’hinterland delle città metropolitane ha determinato la scomparsa nei centri storici di migliaia di esercizi, ad esempio i ferramenta (-1.198 esercizi), i gioiellieri (-954), i negozi di articoli sportivi (-480), profumerie (-478) e librerie (-221).