Antefatto: qualche giorno fa la giunta di destra di Lucca ha negato l’intitolazione di una via a Sandro Pertini Svolgimento: il grande festival del fumetto nella città toscana risponde con un omaggio al capolavoro di Andrea Pazienza dedicato al presidente partigiano
di Giancarlo De Cataldo
A Pertini non piacerebbe se gli intitolassero una strada in una città che non lo vuole. Ce lo ricorda una bella vignetta di Mauro Biani a proposito dei recenti fatti di Lucca. E proprio a Lucca, per uno di quei bizzarri allineamenti di eventi che rendono certi momenti degni delle migliori sceneggiature, nell’ambito di una delle più importanti rassegne di fumetti, si discuterà del Pertini di Paz. Pertini come icona e ispiratore di disegnatori. Lo stesso Biani è recidivo, e come non citare almeno quella raffigurazione dell’anziano presidente che, di fronte a un nerboruto poliziotto in tenuta antisommossa, dice: « L’unica cosa che posso aggiungere è che, ringraziando il cielo, la Diaz è passata alla storia come Diaz, e non come Sandro Pertini » .
Il Pertini indignato che ci fa sapere di non gradire favori dai nemici di sempre, e soprattutto non tollera che li si chiedano a suo nome, riprende un episodio storico della sua biografia. Siamo nel febbraio del 1933. Quattro anni prima Pertini è rientrato in Italia dall’esilio francese. Il poco più che trentenne avvocato si era rifugiato oltralpe dopo aver partecipato all’avventurosa fuga di Filippo Turati, il capo dei socialisti italiani. Insieme a un piccolo drappello di compagni, Pertini aveva portato Turati da Savona alla Corsica, a bordo di un motoscafo pagato di tasca sua da unaltro giovanotto che avrebbe fatto la storia dell’Italia democratica: Adriano Olivetti. Insofferente dell’antifascismo parolaio dei fuoriusciti, racconterà poi, e di un ambiente inquinato da rivalità, dissidi e spie di ogni tipo, rientra in patria perché ritiene più utile combattere la dittatura in casa. Riconosciuto da un fascista savonese in trasferta a Pisa, lo prendono subito e il tribunale speciale lo condanna a dieci anni e nove mesi di reclusione per attività sovversiva. Il carcere duro mina la sua salute. La madre chiede la grazia. Siamo nel febbraio del 1933. Pertini monta su tutte le furie. Scrive alle autorità: « La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore mi umilia profondamente. Non mi associo (…) perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme » . E poi scrive alla madre: « Mamma, con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace… se tu potessi immaginare tutto il male che mi hai fatto, ti pentiresti amaramente di aver scritto una simile domanda. Debbo frenare lo sdegno del mio animo, perché sei mia madre » . Dall’esilio, del resto, aveva scritto, sempre alla madre: « Nulla io personalmente accetterò da costoro. Penso che la libertà non dobbiamo né chiederla né riceverla in dono, ma solo conquistarcela » .
È forse difficile per un ragazzo di oggi immaginare, e tanto meno condividere, una simile durezza, lo spirito di sacrificio portato all’estremo. Ma il « siamo italiani, teniamo famiglia » non aveva senso, per uomini della tempra di Sandro Pertini. Molti anni dopo, da presidente, riceverà la richiesta di raccomandazione di un giovane socialista che gli chiede di esonerarlo dal servizio militare. La moglie Carla, rientrando nella mansarda di Fontana di Trevi, lo troverà intento a una curiosa operazione. Che fai? Imbusto qualche spicciolo e dei gettoni del telefono, così questo giovanotto che vorrebbe scampare la naja può comperare le sigarette e telefonare alla fidanzata.
Sul rapporto fra Pertini e Pazienza, e più in generale con quelli de Il Male, è stato scritto molto. È Paz a fare di Pert un’icona pop, o Pert si impone a Paz che riconosce nel “nonno degli italiani”, come lo si edulcorava affettuosamente al tempo, l’icona pop? Vere entrambe: è una comunicazione che funziona nei due sensi. Pertini è, per buona parte della sua vita, un ragazzo agitato. Conduce un’esistenza per forza di cose disordinata: il carcere, il confino, la lotta partigiana, la morte di due fratelli egualmente amati – Pippo, il fascista per bene, e Eugenio, deportato nel lager di Flossenburg – lo segnano profondamente. « I migliori anni della mia vita se ne sono andati così », confesserà poi in una lunga intervista a Oriana Fallaci, «con tutta la rabbia che può covare un giovane costretto alla prigione. Ma non ho mai perso la speranza, e ho sempre guardato ai giovani », aggiungerà, «al loro essere esuberanti, ardimentosi, con un’enorme riserva di speranza».
È questa agitazione giovanile a conquistare Pazienza. E il conquistatore, a sua volta, si riconosce nel conquistato. Il Pertini a fumetti non è il vecchietto rassicurante che scalda il cuore al focolare delle italiche famiglie. È un combattente nervoso, scattante, ironico e autoironico ( si dice che avesse un caratteraccio, lo chiamavano “ u brichettu”, il cerino, perché si infiammava facilmente: ma senza autoironia non te la fai con gente come Paz e non apri il Quirinale a legioni di bambinetti) e ritrova una miracolosa sintonia con i giovani. Quei giovani che già allora molti, troppi dipingevano come indolenti, indifferenti, “ rifluiti”: in parte era vero, ma c’erano anche quelli che non si rassegnavano.
Quando Pertini va ai funerali di Walter Rossi, mescolato fra la folla, su Lotta Continua, che non è certo un organo bipartisan, scrivono parole di elogio per un vecchio che non si finge giovane, ma sta in mezzo ai giovani e resta sé stesso. Porta una parola di saggezza, ma è la saggezza agitata dei non riconciliati. A Enzo Biagi che gli chiede « ti senti mai sconfitto? » risponde che, sì, certo, i problemi che angustiano l’Italia sono gravi, terribili. « Tutto questo naturalmente crea in me del pessimismo», conclude, «ma la mia volontà è ottimista, me lo ha insegnato Gramsci. E l’ottimismo è rafforzato da questa mia convinzione: io credo nel popolo italiano, credo nella sua gioventù. Noi siamo delusi, perché i nostri sogni sono in gran parte svaniti, sono falliti. Ma loro, i giovani, hanno ragione di sognare » .